Sensi
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 09/04/2021 0 Comments 7 min read
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di Fiorella Malchiodi Albedi
Copertina: Uno sguardo curioso e interessato sull’oltretomba – Antimonio

Sono le sette e tra poco i vicini cominceranno a uscire.
I primi sono la coppia del IV piano. Sono molto litigiosi. In genere appena aprono la porta tacciono ma oggi si vede che sono proprio arrabbiati, perché continuano a litigare scendendo le scale, anche se a voce bassissima. Ora sono proprio sul mio pianerottolo: urli afoni e insulti sussurrati mi arrivano come un fruscio, di cui comunque avverto il tono aggressivo. Un rumore insolito. E io per i rumori io ho una vera passione.
Dopo scenderanno tutti gli altri, chi per andare al lavoro, chi a scuola, ognuno con un accompagnamento sonoro che ormai ho imparato a riconoscere: la porta che cigola, la chiave che gira nella serratura, i tacchi e le suole sui gradini, e le voci, ogni tanto. Tutto avviene nell’arco di un’ora e mezza. Poi i rumori si diluiranno nel tempo, e verso sera ci saranno i rientri. È la fortuna di abitare in una casa senza ascensore.

Chissà se Elena uscirà oggi. Il giorno del suo trasloco ho ascoltato l’andare e venire degli operai, i fiati affannati, i richiami, le imprecazioni, gli scricchiolii degli oggetti trasportati, è stata una mattinata molto ricca. È stato allora che ho pensato al taccuino. Verso le 11 ho sentito una voce femminile sconosciuta al piano di sopra. Mi ha stupito, non avevo notato nessun passo che potessi associare a quella voce. Così mi sono messo ad ascoltare più attentamente e finalmente l’ho individuato, una suola che doveva essere morbidissima e un’andatura elastica e leggera, quasi di bimba. Ho aperto la porta e mi sono affacciato nella tromba delle scale. La donna era nell’androne, piccola e magrissima. Ha finito di parlare con un uomo ed è tornata su.
– Ciao, sono Elena.
La voce era da ragazza ma il volto, che avevo creduto giovane da lontano, era invece coperto da una rete di rughe, poco profonde ma fittissime, come un telo di tulle sulla pelle.
– Gianni. Abito sotto casa tua.
– Mi dispiace per tutto il baccano. Ti abbiamo disturbato?
– Per niente, ti assicuro.
L’ho guardata risalire, con quell’incedere così felpato. Cosa poteva aver creato tutte quelle rughe superficiali sul suo viso? Certo non risate fragorose o pianti dirotti. Forse dei piccoli dispiaceri, o delle gioie impalpabili, emozioni lievi, appena abbozzate, leggere come i suoi passi.

Elena in genere sta a casa da sola, come me, ma raramente ne avverto la presenza. Si muove sempre silenziosamente. A volte la sento bisbigliare. È al telefono o parla da sola? Nelle rare occasioni in cui esce, ogni tanto, mentre scende, sento che si blocca all’improvviso. Rimango in ascolto dietro alla porta, con il fiato sospeso. Cosa sta facendo lì immobile, senza produrre suoni? Forse si ferma a riflettere? La immagino che fissa il nulla con dei fumetti che le escono dalla testa. Poi riprende a camminare.

Giorni fa, mentre era fuori, è arrivato un pacco per lei. Sono corso giù e mi sono offerto di consegnarglielo. Quando l’ho sentita arrivare, sono sceso in strada e le ho citofonato.
– Sono Gianni, quello del piano di sotto. Ho ritirato un pacco per te. Te lo porto.
Dalla sua porta usciva un aroma di torta appena sfornata. Non mi sono chiesto, come sarebbe stato logico, da dove venisse, visto che lei era appena arrivata.
Mentre ci avviavamo verso la cucina, si è fermata.
– Perché sei sceso a citofonarmi, non potevi bussarmi direttamente?
Mi sono sentito un po’ sciocco.
– È che… mi è sembrato gentile.
Improvvisamente ha fatto un sorriso, se così vogliamo definirlo, certo era più una smorfia, con mezza bocca che si tirava su, e l’altra metà che si torceva. Ma gli occhi, quelli sorridevano senza dubbio.
– È vero, sei stato molto gentile.

Arrivati in cucina ha annusato il pacco.
– Hai cucinato cipolle?
– No.
Sembrava perplessa. Allora mi sono ricordato.
– Dev’essere stata la signora del piano terra, l’avevano consegnato a lei.
– Sì, è sicuramente lei, usa molta cipolla. Non che non mi piaccia, solo che lei la fa spesso bruciare.
D’improvviso si è bloccata e si messa a fissare una mattonella sul pavimento. Ecco, dev’essere così quando si ferma lungo le scale, è come se un pensiero pervasivo all’improvviso le occupasse la mente e le impedisse ogni altra azione. Poi ha ripreso a parlare.
– Anche se a volte l’odore di bruciato può essere molto gradevole, per esempio quando danno fuoco alle stoppie.
In cucina il profumo del dolce era più intenso e ho sperato che me ne offrisse una fetta.
– Buono il profumo di questa torta. C’è del limone, della cannella…
– Sì, e anche della vaniglia e… aspetta, c’è un altro aroma che non mi ricordo, fammi guardare.
Ha aperto uno sportello. Per prendere il libro delle ricette, ho pensato, ma nello scomparto c’era solo una fila di bombolette, alcune con adesivi variopinti, altre solo con una scritta. Ne ha preso una e ha letto l’etichetta.
– Ah, ecco: zenzero! Senti.
Pssss. Il profumo di torta di si è nuovo diffuso nell’aria.
Ha inspirato profondamente e mi ha guardato soddisfatta.
– I sapori sono sopravvalutati: il gusto di un buon piatto è spesso dovuto al suo aroma. Diciamo che insaporiamo un piatto con il rosmarino oppure con l’aglio, ma sono spezie del tutto insipide, il loro gusto è in realtà la loro fragranza. E infatti quando sei raffreddato, e ti sembra di non sentire più il sapore del cibo, in realtà è l’olfatto che non funziona, non le papille gustative.
Ha rimesso il flacone a posto tra gli altri.
– Ma non cucini mai veramente?
– Sì, ma non sono molto brava, specie con i dolci. Così mi accontento degli odori.
Ecco perché è così magra, ho pensato.
– E dove li compri?
– Su internet, naturalmente. A volte puoi farteli fare su misura, come quello che è appena arrivato.
Ha aperto la confezione che le avevo portato.
– Questo è di tutt’altro genere. Chiudi gli occhi.
L’ha spruzzato. Non ho capito di cosa si trattasse, e non mi sembrava neanche tanto gradevole, però mi ricordava l’estate.
– L’ho chiamato “Temporale d’agosto”. Lo riconosci? È l’odore della pioggia sull’asfalto caldo.
– Quindi ami gli odori.
– Sono una vera fissazione, lo ammetto.
– A me invece piacciono i rumori. E li colleziono. Ho un taccuino, una specie di diario dove li annoto e li descrivo, con la data. Ce ne sono una tale varietà, in casa, sulle scale, fuori dalla finestra…
Mi ha guardato poco convinta.
– È un modo come un altro per passare la giornata.
Ancora quell’aria dubbiosa. Ho cominciato ad arrabbiarmi. Che io sia strano, lo so bene, ma pure lei…
– In fondo anche tu collezioni odori, non mi pare ci sia molta differenza.
Ma non credo di essere riuscito a convincerla, così me ne sono andato un po’ dispiaciuto.

Ieri mi ha suonato alla porta e senza quasi salutarmi ha cominciato l’interrogatorio.
– Da quanto tempo vivi qui?
– Da sette anni.
– E ti sei fatto degli amici, nel palazzo?
– No.
– E scommetto che non hai mai parlato con nessuno.
Comincio a capire dove vuole andare a parare e sto un po’ sulle spine.
– No.
– E invece con me, ultima arrivata, mi porti il pacco, mi fai domande, mi racconti del taccuino…
So che sta pensando. In fondo ha ragione, ho creduto che fosse una strana come me. Adesso sono io che fisso immobile lo stipite della porta. Si sarà offesa?
Invece fa uno di quei suoi sorrisi sghimbesci.
– Forse, tra te e me, insieme, magari facciamo una persona normale.
Si avvia verso le scale ma poi si gira.
– Anzi, no, perché normale: facciamo una persona speciale, molto speciale.

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