di Silvia Roncucci
Copertina di Veronica la Greca – Psychoppi
«Era logico che ci saremmo trovate» disse Sara, girandosi di fianco verso Manuela. Un ciuffo scuro e sudato le ricadde su una guancia.
«Ah sì? E quando lo avresti capito, dal primo momento che i miei occhi hanno incrociato i tuoi?» domandò Manuela, sistemandole la ciocca dietro l’orecchio. Con il viso puntato su quello di Sara, sentiva l’alito caramellato della sua bocca.
Sara adorava l’ironia della sua compagna, ma non quando si faceva eccessiva. Sapeva bene che in certi casi non la lasciava parlare perché, in fondo, temeva che le sue parole avessero un retrogusto amaro.
«Ah, Sarita Sarita. Smettila di fare la giovane vecchia» continuò Manuela, mettendosi supina con le braccia incrociate dietro alla testa. «Che poi, con questo caldo, la fatica di star dietro ai tuoi discorsi è doppia.»
«Sì sì, scherza pure tu. Ho ragione io!»
«Bene. Allora te la do. La ragione, intendo. Vieni qua» fece Manuela, allungando una mano verso il viso di Sara e accarezzandolo. Sulla sua faccia aveva stampato il sorriso incredulo che faceva ogni volta che realizzava di piacere davvero a una creatura perfetta e complessa come lei.
Sara però si scostò. Non voleva sentirsi dare ragione, ma essere ascoltata. Manuela però non demordeva: si mosse rapida verso di lei e cominciò a baciarle il collo, spostandosi verso l’orecchio e infine la bocca. Era interessata molto più a quelli che ai suoi discorsi: ci voleva poco a capirlo; Sara glielo fece notare e lei le assicurò che avrebbe fatto lo sforzo di ascoltarla.
«Grazie tante. Allora: la storia delle mancanze funziona così…»
«Aspetta: prima dimmi dove l’hai letta. Ti prego Dio, non in un libro di quella che le piace tanto, sì quella mielosa, come cazzo si chiama…» fece Manuela, alzando gli occhi al cielo e mimando il gesto di un fedele in preghiera.
Sara le rivolse un rapido sorriso mentre si sedeva sul letto a gambe incrociate, ricordandole un discorso che aveva provato a imbastire il giorno prima, ma che poi era morto tra le cosce di Manuela: per quale motivo l’amore eterosessuale per secoli era stato l’unico accettato.
«Bah, chissà come mai» osservò Manuela, fissando il ventilatore che girava sul soffitto della stanza. Sara ebbe l’impressione che lo facesse perché, se avesse continuato a guardare lei, sarebbe tornata all’attacco. «Forse per via di quella cosetta da niente, tanto amata dai cattolici apostolico romani, Sarita, sì dai, com’è che si chiama: riproduzione?»
«No. Almeno non solo per quello. Anche per via dei pieni e dei vuoti» fece Sara, scandendo le parole come se si rivolgesse a uno dei suoi studenti. «La vagina è un vuoto, diciamo, e il pene un pieno.»
«E bravo il mio amore che ha scoperto l’acqua calda! Però stai attenta cocca, che ci sono altre cose piene con cui potrei riempirti» disse Manuela, scattando dalla sua posizione e mettendo una mano tra le cosce magre di Sara. Le due cominciarono a rincorrersi in ginocchio sul letto, ridendo come delle bambine, mentre Sara cercava di approfondire la sua teoria: vagina e pene sopperivano alle rispettive carenze.
«Attenta a quel che dici principessa filosofa… se ti sentono le ragazze! Comunque: bella questa visione filosofica del sesso. Da far crepare di sbadigli ma bella. Sentiamo uno dei nostri amici maschi e vediamo che ne pensa. Non è che le due birre di poco fa ti hanno fatto male? Dai, vieni qua. Vedrai che con il bis ti vanno via le fisime.» Manuela si fermò e tornò a sdraiarsi, cercando di non dare a vedere di avere un po’ di fiatone.
«Cos’hai, il fiato corto vecchietta?» disse Sara, ridendo e passandole le mani tra i capelli a spazzola. Lo sguardo le cadde sui pochi fili grigi. «Noi questo non possiamo farlo. Noi abbiamo due vagine.»
«Davvero? Non me n’ero accorta.» Manuela provò di nuovo a toccare tra le gambe Sara e questa non riuscì a nascondere un brivido di piacere. Scostandosi da lei, Sara le disse di aspettare un momento. Aveva capito come ottenere la sua attenzione. La allontanò da sé, le conficcò gli occhi nei suoi, e le ordinò di stare ferma. Si avvicinò al suo viso e la baciò piano attorno alla bocca, senza rispondere alla sua richiesta di darle la lingua; anzi, cominciò a passargliela sul collo, lungo i nei, come se segnassero la strada del suo piacere, sul petto bianco sotto il segno del costume, la fece scorrere più volte attorno ai suoi capezzoli enormi, mentre Manuela gemeva e la chiamava ‘amore mio’. Poi le allargò le cosce robuste e sentì Manuela avvicinare il pube al suo viso. Fremeva, ma Sara aspettò. Senza preavviso iniziò a leccarle il sesso, prima attorno, poi sempre più dentro, finché i gemiti di Manuela si fecero urla. L’aveva calmata.
«Speriamo che i vicini non ci abbiano sentito» osservò Sara andandosene in bagno. Era la frase canonica con cui commentava gli orgasmi della sua compagna.
«E ‘sti gran cazzi dei vicini dove li mettiamo?» disse Manuela, con un tono di voce che forse voleva richiamare proprio la loro curiosità. Tese un orecchio al muro ma niente: sembrava fossero sole nello stabile, in quel pomeriggio bollente di fine Luglio che neanche il ventilatore puntato sulle loro teste riusciva a rinfrescare.
Ora che aveva goduto, osservò Sara, sperava che fosse il suo turno di godere della sua attenzione e Manuela, ridendo, si sedette con un guanciale dietro la schiena, in una posizione in cui nessuno avrebbe potuto accusarla di non darle la dovuta considerazione.
«Ecco cosa intendo per la questione delle mancanze. Poco dopo averti conosciuto, quando eravamo ‘dalle ragazze’ – ti ricordi (e non dal primo momento in cui i nostri occhi eccetera) – ho capito di cosa avevi bisogno.»
«Me lo hai appena dato, grazie cocca.» Manuela si aprì in un sorriso invitante.
«Non scherzare. Fu quando incontrammo Nina e Franca con la loro piccola.»
Manuela si abbuiò, annuì, e vedendo che Sara si era sdraiata con il viso verso di lei, fece lo stesso mentre diceva che sì: era quello che le mancava. Che però, per farlo, le mancava pure un marito, che neanche avrebbe voluto, o un donatore, e che ormai alla sua età non sarebbe più servito. Anche se…
«Anche se?» domandò Sara. I suoi occhi si annuvolarono.
«Beh, negli anni Novanta, quando ero una pischella…»
«Non è che ora tu sia matusalemme, eh.»
«Sì, ma c’ho il doppio dei tuoi anni, e ormai il mio utero è vicino alla data di scadenza. Comunque dicevo: doveva essere il ‘92 o giù di lì. Ero a Madrid.»
Sara cominciò a sbuffare. Manuela non riusciva a iniziare un discorso sul suo passato senza dire che si trovava a Madrid con un sorriso ebete stampato in faccia, e lei era gelosa dei suoi trascorsi spagnoli. A volte le diceva che non voleva neanche immaginare cosa avesse combinato lì. E Manuela tornava a spiegarle che aveva fatto di tutto: la cameriera in uno strip club, la cassiera in una lavanderia e chissà quanto altro che non avrebbe mai ammesso. Sara le chiese di andare al sodo, come se le sue parole fossero una puntura che la terrorizzava e voleva le facessero al prima possibile.
«Sarita, fattene una ragione: ho avuto una vita prima di te. Almeno quarant’anni di…»
«Lo so, non lo dire: di scopate!»
«No. Di relazioni. Allora dicevo: c’era uno a Madrid. Un tipo simpatico, uno del mio gruppo, che all’occorrenza era un po’bisex. Parlando viene fuori che ho voglia di avere figli. Allora avevo vent’anni e forse anche un colpo solo avrebbe fatto centro però no: di colpi ce ne furono più di uno, ma nulla da fare.»
«Però lui rimase soddisfatto.» Sara non ci provava neanche a nascondere la stizza.
«E dai… Questa è la storia in soldoni. E ricordati che sei stata tu a cominciare.» Manuela scoppiò in una risata e tornò ad abbracciare Sara e a palparle il sedere minuscolo e delizioso mentre quest’ultima ci tenne a dire, accompagnando le parole con un gesto perentorio della mano, che in tutti i venticinque anni che teneva i piedi su questa terra lei di uomini non ne aveva avuto neanche uno.
«La mia Madonnina Immacolata! Ora però possiamo tornare a quello che facevamo?», domandò Manuela.
Sara finse di non sentirla e disse: «Mi meraviglio che tu non mi abbia chiesto cos’è che manca a me.»
«Che pazienza ci vuole con te! Comunque no, non te l’ho chiesto perché a vederti mi pare che non ti manca niente… le cose che servono ce l’hai tutte.» Manuela le strizzò il sedere più forte ma smise subito, appena sentì Sara irrigidirsi.
«Forse non me lo hai chiesto perché già lo sai.»
«Sì. Lo immagino. Vieni qui» fece Manuela. Era arrivato il momento di smettere di scherzare. «Quanti anni avevi? Due, giusto?»
«Sì. E sai qual è la cosa peggiore? Non aver nessun ricordo. Che sia mio, intendo. Le foto non contano, non mi fanno venire in mente niente. E anche i racconti di mio padre non bastano. Ero troppo piccola. Però… però a volte mi sento avvolgere da un odore. Non saprei come di fiori, di biancospino. Qualcosa di dolce e aspro. Mi guardo intorno e non capisco da dove venga. E immagino che appartenesse a lei.» Manuela strinse Sara in un abbraccio ancora più forte, senza parlare. «Ho cercato di riempire questo… buco. Ma invece di riempirsi, con il tempo si è allargato. Ho l’impressione che non esista una cosa che può colmarlo.»
«Forse non esistono cose, ma persone.» Manuela prese il volto di Sara tra le mani e la baciò. «Sarita Sarita… Se vuoi, se pensi che sono all’altezza: facciamo che ci riempiamo a vicenda? Dimmi di cosa hai bisogno e te la do!»
Sara capì che, finalmente, non parlava di sesso.
«Bene: voglio protezione e affetto.»
«Bene: eccoli.» Manuela le schioccò un grosso bacio sulla sua guancia incavata. Le prese le mani: erano sottili, ma forse un po’ meno di quanto le fossero sembrate quando l’aveva incontrata.
«E tu? Cosa vorresti?»
«Io? Beh io, forse voglio qualcuno da proteggere e che mi ami…» Come se la risposta stesse ad aspettarla fuori, Manuela guardò verso la finestra chiusa dell’appartamento affacciato sull’asfalto rovente di un parcheggio vuoto.
«Come se non esistesse nessuno oltre a te?» domandò Sara, baciando Manuela in mezzo agli occhi.
«Esatto. Quello.»
Manuela si accoccolò sul petto di Sara e stettero in silenzio, finché Sara non tirò a sé la le lenzuola, le scosse per fare aria e coprì i loro corpi per un istante.
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