di Giovanni Locatelli
Copertina di Maria Rosa Comparato
«Troverò moglie?»
Santina diede un colpo con la paletta e uccise una mosca. Questo era già un buon segno. Le poche volte che la mosca riusciva a sfuggire, niente poteva evitare la sventura.
Adesso bisognava osservare l’insetto: la posizione delle zampe, delle ali: Santina sapeva leggere le mosche come altri leggevano i fondi del caffè. Questa era morta scomposta, colpita di sghembo, schiacciata sul fianco, apparentemente un istante prima del decollo, come di chi voglia scappare.
Ma poteva anche essere una posizione dinamica come di chi corre all’altare.
«Troverai moglie», decise di incoraggiare Santina, «ma devi sbrigarti. Quelle giuste convolano a nozze in fretta, non stanno lì ad aspettare te…»
L’uomo, di età indefinibile fra i quaranta e i sessanta, visibilmente a disagio, arrossì ulteriormente.
Era la peggior risposta in assoluto: manteneva viva un’illusione che lo stava consumando da anni, quando invece un rifiuto categorico avrebbe annullato la speranza, ma anche spento il fuoco, e lo costringeva all’azione. Se fosse stato un tipo intraprendente non si sarebbe ritrovato scapolo alla sua età, avrebbe voluto replicare, ma restò in silenzio, la testa bassa, le spalle curve.
Santina diede ancora un’occhiata alla mosca: spesso, a un secondo sguardo si rivelavano nuovi interessanti particolari sfuggiti nella fretta del colpo e del primo responso.
La mosca, di quelle screziate di verde, aveva un addome largo e un ventre stretto, almeno confrontata con le sue simili – e Santina si era fatta un occhio speciale in merito – aveva antenne corte, zampe lunghe e occhi grandi.
«Cerca una donna dagli occhi stretti, color castano, il seno piccolo, i fianchi larghi e soprattutto bassa. Mi raccomando che sia bassa», sentenziò, ribaltando l’anatomia della mosca per tradurla in quella della sposa.
Ancora una volta l’uomo provò un cocente disappunto: quello descritto non era certo il suo tipo ideale. Perché si era infilato in trappola da solo? Minuto dopo minuto stava perdendo libertà di manovra, vittima di una donna che di sicuro non era alta, aveva un seno piccolo, gli occhi un po’ stretti e magari, sotto l’ampia gonna, fianchi altrettanto ampi. «Stai leggendo la mosca a tuo vantaggio, forse?» ebbe il coraggio di chiedere con un filo di voce, pentendosene immediatamente.
Santina lo squadrò come se si trattasse di un insetto schifoso. Mai nessuno l’aveva accusata di essere un’indovina che se ne approfitta, mai nessuno.
«Ti sembro bassa? Ti sembrano piccole le mie tette? Guardami!» comandò alzandosi in piedi e gonfiando il petto.
Occhio e croce sì, pensò l’uomo, ma non poté esprimersi. Quella donna gli metteva soggezione e, tette o non tette, aveva un potere coercitivo su di lui.
«Guardami! Toccami! Sono di prima scelta io, cosa credi? Che ho bisogno di trucchetti per trovare marito? Che sto qui a schiacciar mosche per trovare marito? Toccami! Guardami! Ho la fila davanti alla porta! Tutti con un anello in mano, pronti a sposarmi!»
L’uomo fece per cercare nelle tasche, se anche lui avesse un anello di fidanzamento da portare in dono, ma si bloccò in tempo, evitando di passare definitivamente per fesso. Si mise invece a considerare il destino, il destino e la serie di coincidenze che l’avevano portato a sedersi su una delle sedie di plastica del bar Dragone, davanti a una donna che molti in città consideravano veggente, qualcuno santa e la maggior parte matta.
Tutto era cominciato con una carie a un premolare. Nella sala d’aspetto del dentista aveva visto un volantino di un autosalone che comprava e vendeva auto usate e per un secondo aveva pensato di sbarazzarsi della Lancia Fulvia del suo povero padre. Poi, anche a causa dell’azione della pinza sul premolare dato per spacciato, se n’era completamente dimenticato.
Giorni dopo, a fine turno, asciugandosi dopo la doccia insieme a un collega cinese, aveva scoperto lo strano modo con cui questo aveva trovato moglie: le offerte votive al tempio, il consulto con il monaco buddista che gli aveva descritta la futura sposa, il passaparola fra parenti e conoscenti emigrati in tutto il mondo alla ricerca della persona esatta. Un’avventura a lieto fine, aveva commentato il collega basso e robusto, sorridendo soddisfatto: la moglie corrispondeva perfettamente alla descrizione del monaco, ma soprattutto cucinava bene.
L’uomo aveva considerato con favore una tradizione che lo togliesse dall’impiccio di fare una scelta e soprattutto dal rischio di essere rifiutato: quanto avrebbe voluto che i suoi genitori gli avessero combinato un matrimonio, a tempo debito… Invece niente, non gli avevano mai neppure presentato la figlia di qualche vecchio amico, o invitato una cugina al pranzo di Natale.
Poi la vita di nuovo l’aveva trascinato altrove: il lavoro, il mutuo, qualche multa e molta TV.
Quindi era arrivata l’occasione della gita a Cremona: quattro amici in trasferta nella piccola città lombarda per l’ultima partita del campionato di Serie B, spareggio che avrebbe permesso alla loro squadra del cuore di passare nella serie principale. Avevano perso, ma in attesa del fischio d’inizio, a zonzo sui viali cittadini, avevano trovato questo bar Dragone, dall’apparenza insignificante, ma dominato dalla figura di Santina, la maga seduta sulla sedia di plastica e armata di paletta ammazzamosche, pronta a svelare il futuro a chi, pagando una discreta somma, gliene avesse fatto domanda.
L’uomo aveva ripensato al collega cinese, si era ricordato del volantino dal dentista e aveva avuto per la prima volta l’impressione che ci fosse un ordine nell’universo. Da quel momento, tutto era filato liscio: venduta la Fulvia, spediti i soldi e una foto a Santina – senza chiedere un euro di sconto, come aveva commentato più volte con gli amici – aveva ricevuto un appuntamento in pochissimi giorni, quando altri dovevano aspettare anni.
Ora lui era lì e intorno c’erano degli anziani, la cerchia di Santina, si era reso conto ben presto, e nei tavoli rimanenti parecchi nordafricani: gli sembrava che tutti lo stessero osservando, che tutti si aspettassero qualcosa, magari proprio una proposta di matrimonio, e lui aveva il terrore di deludere capi e colleghi, amici, a suo tempo i genitori, ora persino gli sconosciuti.
Ma quali sequenze di avvenimenti, coincidenze, fatalità e segni nel cielo potevano confermargli di aver finalmente trovato la persona giusta? Quali cataclismi dovevano accadere, o essere palesemente scongiurati, per averne la certezza in un simile frangente? Chi o cosa insomma poteva ratificare la sua scelta che non era una scelta?
«Sei destinata a diventare mia moglie?» chiese l’uomo, sfinito dalla tensione eppure pronto ad abbandonarsi al fato, dilaniato fra desiderio e paura, sentendo la spada di Damocle sul capo.
Ma fu una mosca a posarglisi in testa.
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