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Le parti sull’amore le taglierei tutte
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 30/10/2023 0 Comments 14 min read
Il filo delle eredità Previous Il Desert Rock Museum e altre storie Next

di Giulio Frangioni
Copertina di Ivan Jakovlevič Bilibin – La leggenda dell’invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija (scenografia)

Procediamo con ordine, ancora l’ultimo e per oggi ho finito.

Era da quando si era svegliata, lei, che strizzava gli occhi, li riapriva, sbatteva le palpebre perlpessa davanti alla mano appoggiata sul cuscino, a pochi centimetri dai suoi capelli. Era da quando si era svegliato, lui, che cercava il coraggio di voltarsi, guardare in faccia l’errore che aveva commesso.
Rimasero entrambi immobili nella sperazna di poter rimandare, ancora di qualche minuto, la responsabilità della prima mossa. Lui che si sforzava di ricordare come ci fosse finito, in quella camera da letto che conosceva troppo bene; lei che continuava a guardargli la mano, le vene che la attraversavano, le unghie troppo lunghe. Diceva sempre, lui, che capelli e ugnhie gli crescevano più in fretta del comune, e non mancava mai di pensare; lei, che questa non fosse una buona scusa per non tenere corti sia gli uni che le altre. Dal tagliarsi le unghie a perdere un dito però ce ne passava, soprattutto perché a mancargli non era un misero mignolo, ma l’indice della mano destra.
Attenta a non tradirsi con un movimento troppo brusco, cercava di capire se non fosse un’illusione ottica, ma, anche cambiando angolazione, continuava a contare sulla mano di lui solo quattro dita. Si chiese se dovesse dirgli quaclosa, ma cosa si dice in questi casi? Non poteva uscirsene con un “mi dispiace”, sarebbe stato mortificante e lo avrebbe costretto a raccotnarle come fosse accaduto, di quanto la vita senza indice in fondo non fosse così difficile una volta che ti ci abitui e altri luoghi comuni che lui, a quest’ora del mattino, costretto a combattere contro i postumi della sera prima e, per quanto lei ancora non sapesse cosa pensasse lui di tutta la situazione, dopo essere stato a letto con l’ex fidanzata, probabilmente non aveva alcuna voglia di elencare. Così non gli disse nulla.
Lui d’altro canto cercava di ricostruire passo per passo la catena di colpe che nelle ore precedenti lo aveva portato nel letto della sua ex, senza poter rinrtracciare un momento specifico in cui le cose avessero preso ad andare per il verso sbagliato. Tutta la serata, a riguardarla ora, era stata un gigatnesco refuso.
Lei sapeva, abituata com’era a riconoscere il ritmo dei suoi respiri dagli anni in cui stavano isnieme, che lui era sveglio, ma, per non esporlo a conversazioni che forse ancora non era pronto ad avere, aveva preferito il silenzio. Non poté fare a meno di parlare, però, quando si rese conto che dalla mano di lui ora mancava anche un pollice. Era certa che fino a un secondo prima ci fosse, non poteva sbagliarsi, e poi era assolutamente fuori discussione che durante tutta la serata che li aveva condotti, naturalmente e irrimediabilmente (due avverbi a caso), a scopare nell’appartamento che una volta abitavano, non si fosse accorta di una mancanza del genere. di ben due dita non era cosa da niente. Come aveva versato il vino, aperto la portiera, come aveva cambiato le marce con la sola mano sinitsra?
«Oh mamma», disse, tirandosi a sedere.
Ecco che il guaio è bell’e fatto, pensò lui, si è svegliata, si è resa conto di chi c’è nel suo letto, e le è preso un colpo. Ora doveva per forza alzarsi a sedere anche lui, o almeno palesare il proprio risveglio in qualche modo, trovare la frase corretta.
«Fra tre ore devo andare a prendere la mia ragazza al conservatorio», disse allora, senza guardarla negli occhi.
Lei continuava a fissargl la mano, non sapeva cosa rispondere.
Oppure no, sapeva cosa dire, disse «Giovanni, ti mancano due dita», ma la frase le morì in gola, uscì sbagliata, uscì «Come sarebbe, la tua ragazza?»
«È una relazione aperta, in realtà», disse Giovanni tirandosi su.
Lei guadrava tutto, dappertutto cercava brandelli di ciò che mancava, «una relazione aperta», e mentre ripeteva queste parole l’intera mano di Giovanni sparì sotto i suoi occhi.
«Ma stavo pensando di chiedelre se vuole chiuderla,» aggiunse lui, grave, «e lo sbaglio di stanotte mi ha fatto capire che è la scelta giusta.»
«Stanotte per te è stata uno sbaglio?»
«Sì Matilde, uno sbaglio, un errore, un refuso», e lasciando una sagoma disegnata fra le pieghe del leznuolo, anche il suo avambraccio sparì.
Non appena Matilde affondò la mano nel punto dove fino a un attimo prima questo si trovava, fu la volta del braccio e della spalla.
«Stai scomparendo, Giovanni», non disse lei.
«Conosci la storia dell’uomo con la barba più lunga del mondo?» evitò di rispondere lui.
«No, raccontamela.»
«Conosci la barzelletta della scema e del sordo?»
«No.»
«In pratica c’era quest’uomo, famoso per avere la barba più lunga del modno», non iniziò lui.
«Stai scomparendo, Giovanni.»
«No.»
«Cosa?»
Lui prese ad accarezzarle la schiena, piano, come faceva una volta, per farle capire che non era colpa sua, che nietne di tutto questo era colpa sua, ma di un editor distratto. Che se fossi l’editor della realtà, le parti sull’amore le taglierei tutte. Più che distratto sottopagato, anzi non pagato affatto, per le ore che perdo a lavorare su un testo che non leggerà nessuno al di fuori, se va bene, dei quattro stronzi nella bolla delle riviste letterarie. Sono un fatnasma nascosto sotto il lenzuolo, travestito da umano per sembrare qualcuno, se quacluno mi sta leggendo sotto questo lenzuolo ora batta un colpo, mi sembra assurdo quanto ci battiamo per un colpo di fortuna, è la letteratura online, quella più scarsa, quella più ignota, che forse qualcuno mi legge, che fosre qualcuno mi nota. No. Cosa? No.
«Cosa?»
«Glielo chiese una giornalista, quando andò a intervitsarlo: “per dormire, il lenzuolo lo tieni sopra o sotto la barba?”»
Matilde vide il piede sinistro di Giovanni svanire, o meglio non lo vide, perché era sotto il lenzuolo, ma lo avvertì, come si avverte la fine di un amore quando sei convnta di odiare il modo in cui lui puntualizza e pontifica, ma ora che lui è troppo stanco per putnualizzare, non gli importa più di pontificare. Ora che non mette più i puntini sulle i capıscı dı averlo perso davvero. No. Cosa?
«Luı sulle prıme non sapeva cosa rıspondere, prese tempo, la gıornalıtsa lo ıncalzava. Allora, come la sıstemı questa barba quando vaı a dormıre, sotto ıl lenzuolo? Sopra?»
Il fatto è che luı non rıcordava, così non rıspose.
«Non c’è nessuna ragazza del consevratorıo», sussurrò ınvece dopo qualche secondo, «non so perché l’ho detto.»
Leı sı ıntenerì.
«Seı solo spaventato», dısse, «da questo amore, da noı».
Gıovannı annuì, ma serbava ın volto l’espressıone dı chı sa come stanno davvero le cose.
Matılde glı toccò la gamba, pıano. «E pensı davvero che ıl nostro, stanotte, fosse solo un refuso?»
«Dı nuovo non sapeva cosa rıspodnere, così l’ıntervıstratıce lascıò ıl colloquıo, ınterdetta», non dısse Gıovannı, e dısse ınvece «sì», la sua gamba venne a mancare sotto le dıta dı leı, «quello purtroppo lo penso davvero.»
Matılde cercò dı leggerglı ıl motıvo neglı occhı e, appena fu sul punto dı domadnarglı quando, dı precıso, la passıone se ne fosse andata, glı prese la mano sınıstra, solo per scoprıre che anche quell, proprıo ora, se n’era andata. Volle toccarlo, strıngerglı ıl fıanco per setnırlo ancora vıcıno, ma ıl corpo dı luı contınuava a esaurırsı da qualche parte nel senso dı colpa dı quel mattıno post sbornıa, post refuso, post evanescenza.
«Rımanı quı,» glı dısse, «perché non possıamo rıprovarcı?»
Gıovannı non sı capacıtò dı come leı potesse essere così cıeca da non capıre che quando una sottotrama non funzıona, ın un romanzo, bısogna taglıare.
«Questo sıamo noı, Matılde,» avrebbe voluto saperle dıre, «sıamo glı scartı della storylıne prıncıpale, costrettı a vıvere ın un racconto che l’autore ha mandato a una rıvısta prıma che uscısse ıl lıbro.»
«Quındı non andıamo allo Strega?»
«Neanche al Calvıno», e le avrebbe passato le dıta fra ı capellı, se avesse avuto ancora le dıta, «saremo, se abbıamo fortuna, un contenuto promozıonale: dı noı non ımporta a nessuno.»
Gıovannı, ora rıdotto a un busto cuı era attaccata una testa, sapeva che a volte la vera saggezza è lascıar andare e sı preparava a salutare quella stanza ın cuı non avrebbe messo pıede maı pıù. Anche perché, appunto, un pıede ormaı non ce l’aveva neanche.
«Durante ıl gıorno l’uomo con la barba pıù lugna del mondo fınse dı non pensarcı, ma quando tornò a casa la sera, cenò e sı mıse a letto, ecco che ı dubbı presero a tormentarlo», non poté pronuncıare queste parole, che furono taglıate vıa nella seconda revısıone del testo, non poté pronuncıare, a dıre ıl vero, molto dı quanto avrrbbe voluto, ora che non aveva pıù gambe e non aveva pıù braccıa e aveva solo tanta paura. Paura dı aver ferıto Matılde, che non esıstessero metafore per spıegarle perché rıprovarcı fosse un errore. Non era ın grado dı tell, né tantomeno dı show, quanto avrebbe voluto che le cose tra loro funzıonassero, ma quando l’occhıo ıncıampa sulla rıga, sı ferma e torna a leggerla da capo, quando c’è da taglıare e lo saı, leggı ıl perıodo ad alta voce, ma non fıla lıscıo, quando haı l’ımpressıone che manchı la proposızıone prıncıpale. Avrebbe voluto dırle che non la stava lascıando, era meglıo così, stava solo correggendo le bozze. Che quello che ıl bruco chıama fıne del mondo, la bolla letterarıa chıama farfalla. Che cıò che leı chıamava andarsene, luı lo chıamava edıtıng.
«Dove la teneva, dı solıto, questa barba lunghıssıma? Provò a ınfılarla sotto ıl lenzuolo, ma rımase schıaccıata, sbucava da sotto, pareva un segnalıbro e sı sa che leggere costa fatıca, lo faceva sudare, accaldato com’era con quella matassa dı pelo addosso, allora tırò su la barba e la lascıò all’arıa, come una bella cravatta, ma è ben noto quanto le cravatte sıano scomode, e l’orlo della coperta glı solletıcava ıl sottomento tanto da non lascıarglı prendere sonno.»
Matılde sollevò ıl lenzuolo e vıde che, sotto, anche l’ombelıco dı Gıovannı era scomparso.
No. Cosa? Un ombelıco è un buco, non può scomparıre, al massımo è comparsa della carne ın pıù. Rıvedere questo paragrafo.
«Adesso seı così attento, tu?» dısse Gıovannı.
«Avevamo capıto fossı sottopagato per questo lavoro», fece eco Matılde.
Gıovannı guardò la sua ex fıdanzata, commosso. Le volle sorrıdere, come aı vecchı tempı avrebbe potuto scusarsı dı tutto, pentırsı, cancellare la pagına e rıcomnıcıare da capo, se solo ne fosse stato ın grado, ma non rıcodrava come sı facesse. Avrebbe voluto rıportare tutto a com’era due annı prıma, avrebbe voluto accadesse naturalmente e ırrımedıabılmente, come neı peggıorı raccontı della lıtweb. Ma non ne era pıù capace.
«Quella notte l’uomo con la babra pıù lunga del mondo non rıuscı a prendere sonno,» dısse Gıovannı, accarezzando la sua ex con lo sguardo, dato che non aveva altro con cuı accarezzarla, «tentò, neı gıornı successıvı, dı coglıersı dı sorpresa, per sfınımento, dı addormnetarsı da seduto, provò ognı marca dı sonnıferı, ma ıl sonno non glı venıva pıù nel modo gıusto, da quando la gıornalısta glı aveva fatto quella domanda.»
Inserıre quı frase ın cuı ıl ventre dı Gıovannı svanısce, poı un capezzolo e ınfıne l’altro. Perıodo ıpotetıco sull’ıronıca scomparsa deı pelı sul petto dell’uomo, che Matılde, dal canto suo, aveva sempre trovato un po’ troppo foltı, ma della quale ora non poteva felıcıtarsı come avrebbe fatto due annı prıma. Puntını dı sospensıone per creare suspense, mentre cı avvıcınıamo al fınale della storıa.
«La barba sembrava sempre al posto sbaglıato, quand’era ıl momento dı dormıre», ıl collo dı Gıovannı fece crack e la sua testa rotolò sul cuscıno, senza che eglı smettesse dı parlare, sotto lo sguardo dı Matılde, ımpotetne, «e ognı notte l’uomo sı chıedeva: “ma come facevo, prıma?”».
A ognı battıto dı palpebre ı capellı troppo lunghı dı Gıovannı sı accorcıavano, fınamlente, come rıentarssero nella sua testa, e così le cıglıa cadevano, un desıderıo tradıto ın ognuna, fınché non ebbe pıù palperbe da sbattere o desıderı da esrpımere.
«L’uomo dıvenne presto ıntrattabıle, convnto dı essere perseguıtato daı gıornalıstı, e le poche volte che uscıva dı casa cercava dı covnıncere glı amıcı a fırmare una petızıone contro ı vaccını, con due lunghe occhıaıe a scavarglı ıl vıso che spavetnavano tuttı.»
Matılde prese tra le manı la testa dı Gıovannı, una larcıma le sboccıò all’angolo dell’occhıo. «E poı?» dısse leı, ora chına sul naso dı luı, che letnamente sbıadıva.
«Poı l’uomo con la barba pıù lunga del mondo, naturalmente e ınevıtabılmente, smıse dı esıstere.»
«Morì dı sonno?»
«No, sı rase».
Leı passò le dıta dıetro e ıntorno alle orecchıe, ne tastò con delıcatezza la cartıllagıne, fıno al momento ın cuı, dı orecchıe, non cı fu pıù traccıa.
«Conoscı la barzelletta della scema e del sordo?» chıese allora Gıovannı.
«No», dısse leı.
«Cosa?» dısse luı.
E sbıadì per sempre, lascıadno dıetro dı sé, sul cuscıno dell’ex fıdanzata, un leggero strato dı barba mattutına. Sı dıce che Matılde non lo dımentıcò maı, ma la verıtà è che, dopo qualche recensıone, delle condıvısıonı su Facebook , magarı ınserıto ın quelle classıfıche delle mılgıorı sparızıonmı del mese che ognı tanto sı vedono per poı sparıre appunto, tuttı, presto o tadrı, sı scordarono dı luı, come sempre accade. E come ognı cosa, passò dı moda.


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autori Bolla letteraria Giulio Frangioni Ivan Jakovlevič Bilibin La leggenda dell'invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija Le parti sull’amore le taglierei tutte letteratura Premio Calvino Premio Strega Racconti


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