Buco nero

di Esa Renzi Sepe
copertina di Daria Pesce


Entra una torta di compleanno sorretta da mani conosciute. Tonda come un orologio, ci sono dodici confetti colorati al posto delle ore, e bastoncini di cioccolato come lancette. Segnano un quarto alle cinque, anche se ormai sono le sette passate. Sullo sfondo, un doppio strato di panna.

«Soffia!»

Monia sbuffa sulle candeline: l’intenzione c’è, ma non basta. Una rimane accesa, così abbozza un sorriso. Cerca di sembrare buffa, ma risulta solo debole.

«Più forte!»

Mamma ci crede tantissimo. Organizza questa bella festa per lei, con i bicchieri colorati e i fiori.

Però Monia li disprezza. Per lei, sono cadaveri in putrefazione esposti al pubblico. Mamma invece li venera, dice che morire imbevuti di bellezza è il modo migliore di andarsene.

«Poteva andare peggio», dice Monia affannata, dopo aver spento la seconda fiamma sulla torta.

Di fronte, la famiglia. Teo si porta dietro l’ultima conquista di turno. Una lei imbarazzata, con i tacchi a spillo quando i presenti sono tutti in pantofole.

«Dentro è alla crema, come piace a te!»

Mamma ne conserva un paio per ognuno. Le madri conservano pantofole e, se sono troppo vecchie, le comprano nuove per te. Questo Teo lo sa bene, perciò non dura mai con nessuna e non ci sono pantofole per la ragazza che viene da fuori. Monia vuole dirgli di non perdere tempo dietro alle scarpe perché l’orologio può essere un cattivo consigliere, così come le madri. 

«La torta è meravigliosa», dice Monia a mamma, «ma faccio io» aggiunge, scansandole il braccio.

Monia stacca le candeline a forma di numero dalla torta. Dicono trentacinque anni. Tutta concentrata sulla panna per guadagnare secondi e non guardare la scena. Per non affrontare quei volti e non accettare che lo spaziotempo si è deformato intorno a lei. Dal centro del suo petto, una massa viola deforme esce scavando un buco. Un percorso prima lento e poi veloce, come quando – così dicono – ci si avvicina al bordo di un buco nero. Grazie al buco, Monia vede le cose più nitide.

«Adesso si mangia!»

Mamma la abbraccia. Trema tanto che Monia teme di sbriciolarla. Poi la stringe più forte e le accarezza i capelli.

È in quel momento che le viene da piangere, dalla gola. “Non deve arrivare agli occhi”, pensa. Ci mette un po’, le sembra uno sforzo lungo e immotivato, ma necessario.

Quando mamma si stacca, Monia si porta dietro fra le mani i suoi capelli, troppi per passare inosservati. Sul volto di mamma c’è un sorriso di cartapesta. 

«Buon compleanno, amore mio!»

Mamma cinguetta come un vecchio orologio a pendolo, con i suoi capelli che penzolano, incastrati fra le dita di Monia.


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1 Comment

  1. mi piacque l’illustrazione o foto con quegli occhi lampioni, pure il tempo perso dietro alle scarpe giacché l’orologio può essere un cattivo consigliere, sì, a volte si guasta: sono caduto in una sorta di lucida melanconia, leggendo il testo, il prodotto di una testa melanconica, sì, ciau

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