Infami – l’osso arriva già spolpato

di Carlo Martello
copertina di Edizioni Arcoiris


Infami, di Luis Reynaldo Pérez, tradotto da Barbara Flak Stizzoli e edito da Arcoiris, nella collana Caribe, è una raccolta di racconti quasi sempre brevissimi che, come dice Silvia Tebaldi nella prefazione, disegnano un affresco che va oltre la raccolta di racconti e crea i confini di un romanzo corale su Santo Domingo, città protagonista e resa in modo estremamente concreto da Pérez.

Pérez, dominicano, è noto soprattutto come poeta e come animatore e organizzatore culturale. La sua figura, per quello che ho potuto capire cercando su internet, sembra essere centrale nella scena letteraria caraibica e di Santo Domingo in particolare. È insomma un autore di basi solide, non più giovanissimo (ha quarantacinque anni, praticamente la mia età e no, non possiamo più essere considerati giovani) e che probabilmente rimarrà come riferimento della letteratura non solo di Santo Domingo. Il lavoro di Arcoiris è quindi particolarmente prezioso in questo senso, perché ci dà l’opportunità di conoscere, seppure attraverso un libro di prosa molto breve (cento pagine precise) un autore importante oggi, nostro contemporaneo, che a causa delle storture sistemiche dell’industria culturale qui in Italia non sarebbe mai arrivato.

Premesso questo, la lettura di Infami merita alcuni altri approfondimenti. L’approccio poetico al racconto è molto presente e a volte può risultare straniante per l* lettor* occidentale abituat* a una prosa meno scattante e cruda. I racconti di Pérez sono effettivamente racconti in prosa, ma allo stesso tempo contengono il ritmo della poesia e un andamento a salti, nel quale si passa da un’immagine all’altra senza i ponti concettuali del racconto occidentale classico.

La causa di questo andamento, peraltro, credo si possa attribuire non solo a un approccio formale, più poetico, ma anche a una visione politica dei fatti che Pérez sceglie di raccontare. I personaggi di Infami, inclusa Santo Domingo, il loro ritorno da un racconto all’altro, le azioni che compiono e quelle che subiscono, l’affresco generale del libro, la scelta di usare, tranne che in un caso, la forma del racconto brevissimo, tutto questo e probabilmente le esperienze di Pérez come animatore culturale, quindi politico, di Santo Domingo, raccontano di una brevità esistenziale, biologica. La vita dura molto poco nei racconti di Infami, non si raccontano che i primi decenni di esistenza. E non c’è tempo per raccontare, si va dritti al punto, senza nessuna concessione estetica, né formale. La forma è sostanza per qualsiasi prodotto culturale, per qualsiasi letteratura, ma qui sembra essere addirittura una necessità; Pérez sembra volerci dire che questo è l’unico modo possibile di raccontare le storie di Infami, perché potrebbe non esserci il tempo di farlo diversamente.

Si è parlato di raccolta “nera” e non è sbagliato, ma credo che i riferimenti di Infami e di Pérez vadano ricercati più nella poesia e in una ricerca non tanto della crudezza espositiva, che è una conseguenza formale logica, quanto nella ricerca della spiegazione del dolore. In Infami non c’è piacere, ci sono di tanto in tanto alcuni momenti di sollievo, peraltro spezzati dal flusso inarrestabile della violenza e del dolore.

In altri termini, non cercherei riferimenti letterari nella letteratura hard boiled statunitense, che mi sembrano fornire tuttalpiù una patina leggera di stilemi culturali. 

Il punto però è il dolore e si tratta di un dolore più forte del colonialismo.

Pérez ci dice che non c’è movimento narrativo in questo dolore, non c’è possibilità formale diversa dal tentativo di raccontare questo dolore nel modo più rapido possibile, per poterlo vedere e immaginare di lasciarselo alle spalle. 

Non è possibile stare bene in questo scenario, che è sicuramente estremizzato ma mai inverosimile. Qualsiasi tentativo viene represso dal sistema con la violenza brutale. In tutto il libro non c’è speranza, se non nella figura di un bambino che scappa. Pérez ci suggerisce che con un po’ di coraggio e di fortuna potrebbe avere l’occasione di vedere un mondo diverso da quello da cui sta scappando.

Ci vuole molta apertura mentale per accettare questo dolore e questa velocità nel raccontarlo, questa assenza di tutta la letteratura che siamo abituat* a considerare parte della letteratura. L’osso qui arriva già spolpato. Ho il dubbio che questa scelta, politicamente molto forte e che mi sento di condividere, abbia dato luogo a una raccolta in cui la ricerca dello scheletro della letteratura non sia riuscita a trovare tutti i reperti. In altri termini, alla legittima ambizione non è seguita una realizzazione altrettanto limpida. Il libro è ottimo, con un racconto – non a caso il più lungo – che si staglia sul resto, ma l’impressione è che la ricerca di Pérez non si sia ancora esaurita, nonostante abbia intrapreso la strada giusta.

Da questo punto di vista, l’iniziativa editoriale di Arcoiris è ancora più preziosa a mio parere, perché, posto che Infami è un libro assolutamente meritevole di essere letto, per una quantità di ragioni diverse, non ci presenta un autore già canonizzato e imbalsamato, né dalla sua cultura né dalla nostra, ma piuttosto un autore in costruzione, di cui cogliamo il percorso, possiamo intravedere i possibili sviluppi. Non si tratta di un approccio da addett* ai lavori o da ossessiv*, ma dell’idea, politica anch’essa, di mettere a disposizione dell* lettor* un catalogo in cui si respira, nel quale si può camminare senza essere circondat* dai monoliti dei libri già considerati intoccabili.


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