Virale/virtuale

Testo: Duchessa Malinverno
Copertina: Antenati – Julio Armenante

Vuoi che non lo so?
Lo sta facendo per vanità, per sentirsi potente.
Lui e il suo grosso cazzo.
Lo so che è grosso, mi ha mandato un video . Non ha perso occasione. Appena ho digitato “mmmh” nella chat in risposta al suo “è enorme”.
Sono sempre enormi i cazzi in chat. Di solito mandano foto prese da internet, ritagliate, oppure si inventano ardite inquadrature sottopalla perché da sotto in su sembra più lungo. Lui no.
Lui ha mandato un video in cui gli si vede pure il viso.
La prima cosa che ho pensato è stata: “coglione” la seconda: “apperò”.
Tanta roba.
Ho fatto “mmmmh” veramente.
Ne ho approfittato a piene mani e gli ho mandato un vocale per fargli sentire quanto ho apprezzato il regalo.
Gli si è gonfiato il petto di vanità, oltre al resto, ovviamente.
Mi sono scattata una fotografia, dal collo in giù, senza riferimenti, ma riconoscibile.
Per lui.
Anche io lo avrei riconosciuto lo stesso.
Ci siamo conosciuti nudi, in pratica. In spiaggia, tre mesi fa.
Lui usciva da una cabina tenendo in equilibrio varia oggettistica da spiaggia, io volevo entrare in quella stessa cabina tenendo per mano il mio figlio, fisicamente più piccolo della combinazione materassino/ombrellone/giochi, ma altrettanto ingombrante.
Uno scontro, uno scambio di scusi, scusi. Poi lo sguardo.
Oh certo, in un racconto erotico quello sguardo sarebbe stato descritto così: “mi sentii avvampare. Sembrava che gli occhi di quello sconosciuto scrutassero la mia anima, facendomi sentire più nuda di quanto già non fossi. Un desiderio prepotente ci avvolse.”
Poi roba turgida, cose umide, sospiri e metafore falliche bla bla bla.
Nella realtà quel che è successo è sì un brivido, un attimo di scossa chimica, ma entrambi abbiamo fatto finta di nulla.
Questo è stato prima di scoprire di essere vicini di ombrellone e di scoprire che i nostri bambini stavano già giocando insieme e che i nostri coniugi avevano già cominciato a parlare partendo dai soliti convenevoli.
Sua moglie è bella, completamente diversa da me, molto alta molto magra molto bionda e lui è molto diverso da mio marito molto moro molto muscoloso molto alto.
Nella varia gamma di umanità che noi quattro rappresentiamo io e lui siamo gli esatti opposti, le alternative genetiche più estreme.
Siamo stati molto bravi a dissimulare per tutta la durata della vacanza. Durante le cene e le passeggiate-gelato sul lungomare ci siamo tenuti a debita distanza anche quando era chiaro a entrambi che ne avremmo volute parecchie di cose turgide e umide.
Solo l’ultimo giorno, come nei racconti delle estati adolescenziali, abbiamo ridotto la distanza. Abbiamo nuotato, con i bambini più grandi, fino alle boe. Abbiamo giocato con loro e nel gioco la parte superiore del mio costume si è spostata. Lui senza pensarci ha infilato un dito tra il tessuto e il capezzolo e l’ha rimesso a posto. Come se fosse un gesto abituale.
L’ho ringraziato e ho nuotato fino a riva.
Ci sono voluti tre mesi e trecento km di distanza per dare seguito a quel gesto.
Mi ha mandato un messaggio.
Poi un video buffo.
Poi è stato in silenzio qualche giorno.
Poi ha chiesto “ti ricordi?”
E io ho sempre risposto, perché sapevo dove voleva andare a parare. Non mi sono stupita di nulla, non è il primo con cui faccio roba in chat e so tenere testa alla situazione. Tutto già scritto.
L’approccio vago, la battuta, i “cosa ti farei” e i “perché non l’hai fatto?”, I sorrisi, e i “dovresti vedere come sto”, un copione che conoscevo bene. Bastava rispondere “sono già bagnata” e “mmmh” nei momenti giusti e ignorare lui, le sue foto sottopalla, le sue fantasie di inondazione. Usare la situazione solo come trampolino per un buon momento di autoerotismo.
In tutta la mia vita non avevo mai mandato una foto mia in certe situazioni.
Fino a lui. Fino al suo video con il cazzo enorme e la sua faccia così bella, finché non mi sono sdraiata nuda e ho scattato.
Una foto del mio corpo senza viso, ma il corpo che lui aveva visto al mare, coperto poco e male da un bikini che mi faceva uscire le tette.
Mi ha riconosciuta.
Mi ha mandato un vocale: il mio nome ripetuto tra i sospiri, il rumore della sua mano che sempre più veloce si muove sul suo cazzo, il fiato spezzato dall’orgasmo.
E io mi dimeno e impazzisco e smetto di avere potere su di lui e gli concedo di averne su di me. Sono sua quando gli invio anche io un vocale e gli permetto di sentirmi venire, violando un patto intimo e non dichiarato con mio marito – le voci dei nostri orgasmi sono solo nostre – violando un patto con me – non esporti se non se lo meritano – ma mentre lo faccio non mi importa.
Tormento il capezzolo che mi ha sfiorato, stringo gli occhi per rendere più reale il ricordo del suo corpo, mi immagino che sia lì. Ci immagino sghembi nelle nostre differenze, fingo che sarebbe tutto semplice come nei film, dove i corpi si incastrano sempre perfettamente.
Lo sento reale su di me mentre premo invio.
“Abbiamo fatto sesso” mi dice nel vocale successivo, vorrei poterlo baciare, vorrei non vederlo mai più.
Cancello la conversazione, ma il video e il vocale li salvo in una cartella del cellulare, in profondità come se fosse un nascondiglio segreto.
Vorrei dire a tutti che ho fatto del sesso da favola con un uomo molto bello.
Non potendolo fare lo dico a me stessa mentre mi tocco, mentre guardo di nuovo il video.
Ho fatto del sesso da favola con un uomo molto bello.
Mi dico anche “brava, non hai perso lo smalto”. Per un po’ credo di avere riottenuto il distacco, il potere per dirigere il gioco, poi puntualmente cedo, elemosinando un’attenzione.
Ci guadagno un altro paio di orgasmi telefonici, e lui tre foto nuove. In una si vede chiaramente il mio divano.
Spero che sua moglie non la trovi.

Poi siamo finiti in quarantena.
“La quarantena del ’20” la chiameremo tra qualche anno. Chiusi in casa, con le nostre famiglie a passare del tempo molto bello o molto brutto tutti insieme.
Hanno cominciato tutti a fare le videochiamate.
Una sera è squillato il mio telefono ed era sua moglie.
Non lo nego, in questi mesi ci siano scritte spesso, mi sta simpatica e mi dispiace essermi fatta suo marito. Beh, no. Mi dispiace un po’.
Comunque. Questa videochiama. I suoi figli avevano nostalgia dei miei e siamo tutti un po’ abbattuti. Ovviamente grande gioia nel rivedersi. Seduti sui rispettivi divani a sorridere e parlare a voce troppo alta.
Non so come ci si possa guardare negli occhi attraverso uno schermo, ma noi ce l’abbiamo fatta. Stava lì sul bordo dell’inquadratura e mi guardava. Io al centro con il telefono in mano parlavo con sua moglie ma guardavo lui.
Abbiamo scherzato una decina di minuti. Ci siamo promessi di rivederci. I bambini hanno detto in coro tutti quanti “sisisisii”.
Certo bambini. Certo.
Sono passati quasi cinque mesi dall’ultima volta con lui. Non ci siamo praticamente mai sentiti. Ho messo da parte l’idea e anzi mi sono sentita una cretina ad avere ceduto e concesso così tanto.
Appena è finita la telefonata ho detto “vado a fare una doccia” anche se era quasi ora di cena. Nel bagno ho guardato il telefono, ho trovato un suo messaggio.
“Per tutto il tempo ti ho pensata su quel divano”.
Sto per rispondere, ma ne arriva un altro, un immagine: “Ti aspetto”.
Nudo sotto l’acqua della doccia, con quel corpo che sembra una statua, i tatuaggi, ridicolmente depilato ma perfetto.
Anche lui ha sentito il bisogno di strapparsi i vestiti e di prendersi dell’intimità per prendere me, in un piccolo ritaglio di solitudine in queste giornate troppo affollate.
Spero che il vapore riempia la stanza per non essere colta in flagrante mentre avvio una nuova chiamata, attenta a non bagnare il telefono – chi ripara un telefono adesso, in quest’epoca – ma decisa a mostrargli tutto di me, anche il viso senza vergogna.
Ci insaponiamo a vicenda. Sento chiare le sue mani scivolose di bagnoschiuma sul mio corpo, sul seno e giù tra le gambe, sento di stringere le dita sul suo culo, mentre entra dentro di me.
Non possiamo perdere tempo, troppe persone fuori dal bagno troppe variabili impazzite. Una sveltina nella doccia a trecento km di distanza. Roba parecchio bagnata e turgida. Con un orecchio teso alla porta e ai rumori fuori, ma tutto il resto, tutto, occupato dal lui.
Veniamo in silenzio ma ci sentiamo, riuscendo a guardarci mentre succede con le dita strette e infilate, con il collo teso e l’acqua che scende ovunque. Non è durata più di cinque minuti, dice il timer. Mi saluta lanciando un morso all’aria.

Penso di essere fortunata. Penso a quegli amanti che vorrebbero toccarsi e non possono, che devono imparare la dinamica del sesso senza contatto. Noi partiamo avvantaggiati. Ci accordiamo, un pomeriggio, per andare a fare la spesa allo stesso orario e lo facciamo chiusi in macchina nel parcheggio del supermercato, con la paura di essere visti e l’eccitazione di questo sprazzo di libertà. Poi facciamo la spesa parlando al telefono con le voci ovattate dalle mascherine. Una sera ogni tanto facciamo le videochiamate di famiglia, diciamo cose banali, lasciamo parlare i bambini. A volte uno dei due lascia scappare una battuta, un accenno a qualcosa di condiviso. Poi corriamo via. In silenzio e di fretta, chiusi nel bagno, con le mani che si infilano nei vestiti, le foto dei dettagli scoperti. Foto scattate inviate e cancellate, perché la forzata condivisione ha reso labile anche la privacy del telefono, prima oggetto inviolabile ora, invece, ricettore di compiti e video e vocali di amichetti e di maestre.
Il terrore di inoltrare la foto del gigacazzo alla chat della scuola mi fa cancellare ogni file con il rischio di eliminare anche la roba buona. Ogni squillo ha il doppio potere di farmi eccitare e preoccupare contemporaneamente.
Lui vorrebbe incontrarmi quando tutto sarà finito io non lo so. Lo sogno e nei sogni ho sempre i guanti di lattice e la mascherina. Il contatto con la sua saliva mi mette in ansia e mi sveglio sentendomi sporca. Non moralmente, proprio fisicamente, carica di batteri.
Poi anche la quarantena diventa routine e non ho più voglia di fuggire a fare la spesa e di masturbarmi nel parcheggio dell’esselunga. Non lo so, ma la quarantena mi ha abbassato i giri smorzando la mia voglia di sesso occasionale. Lui non lo capisce subito, ogni tanto mi manda un video o una foto. Mi propone un appuntamento. Sparisco, come era sparito lui, lasciando che l’isolamento mi avvolga, e ho smesso di provare quelle sensazioni travolgenti e vive, verso di lui, ma anche verso tutto ciò che c’è fuori. Voglio solo stare sul mio divano, a fare passare il tempo. Indolente e isolata, lenta e senza ombre. La quarantena è la mia nuova amante.

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