Lettera da un fronte coperto di polvere

di Dario Faggella
Copertina: I due ladroni – Julio Armenante

Caro Dario,

come procedono le cose lì a L***? Qui da noi a M*** il silenzio ha occupato le strade svuotandole di ogni rumore e l’inazione ha riempito le piazze rendendole fantasmagoriche. Poco male se non ci fanno uscire, io ne approfitto per dedicarmi alle mie letture e ai miei studi. Non aver più la possibilità, la mattina, di salutare il portiere: vuoi proprio saperlo? Non mi manca neanche un po’. Mi dispiace molto per la vostra gatta colta così malamente da trombosi, così giovane poi, spero si riprenda presto. Mi scrivi che ora conduce una vita più appartata, che sta sempre nella sua cuccia, che non la toccate perché temete di farle del male, che ha perso l’uso della zampa posteriore destra e che se la trascina dietro, zoppicando, come un’appendice secca: deve essere una scena straziante. Ti esprimo la mia vicinanza. Io sospetto che sia stato il suo Es a farla fulminare così in malo modo. Pensaci bene. Mi ricordo che la vostra micia era molto restia a farsi accarezzare e vezzeggiare, rugliava ogni volta che le allisciavi il pelo, e poi scappava via come se la si volesse macellare, tanto che mi dicesti di quanto ti dispiacesse il suo caratteraccio scostante. Ebbene, il suo Es non ha ottenuto forse quello che voleva, con l’ostruire la vena e impedire il flusso del sangue? Tanto in odio aveva le vostre carezze che, per non riceverne più, nel suo inconscio ha elaborato sé stessa malata, fragile e malandata, e in virtù di ciò dispensata dall’essere toccata dagli esseri umani i quali son soliti astenersi dal mettere mano sugli animali infermi, per riguardo o per repulsione. Sono le tecniche di difesa dell’Es, che attraverso il malanno raggiunge reconditi scopi. Del resto, è la stessa cosa che è successa a noi, con il virus, e ti prego di credermi, di non ridere delle mie intuizioni come più di una volta, ingiustamente, hai fatto, tirandomi per vecchio matto. Senile lo sono di certo, ma conservo ancora tutta la lucidità del mio essere per portare avanti la nostra corrispondenza. Tale morbo, io sostengo, non proviene né da un pipistrello né da un laboratorio, bensì dall’Es collettivo, e più specificamente dal suo cavernoso desiderio di morte, e sboccia dal carname umano come un foruncolo che, ripieno di pus, vien su dall’epidermide del volto teso e preoccupato. L’umanità, in questo periodo storico, sempre più alienata e psicotica, consapevole di non avere più il controllo del proprio ronzino idrofobo, aggiogata a una sovrapproduzione di informazioni che l’ha posta in una crisi identitaria senza precedenti, conscia del proprio approccio inevitabilmente distruttivo nei confronti del pianeta che la ospita, si è infine depressa, e quel che vuole ora, inconsciamente, è suicidarsi per fuggire le responsabilità che la legano al suo destino. Se, possibilmente, un individuo entra in depressione, in ansia, in un forte stato di apprensione e sofferenza mentale, e sviluppa un cancro o un’ischemia, anche la collettività in quanto tutt’una può patire le stesse dinamiche, e soltanto mediante una malattia virale, essendo l’umanità un insieme di parti indipendenti tra loro. Lo so, lo so, so benissimo cosa mi obietti: pandemie, carestie e guerre hanno da sempre piegato il consorzio umano. E con questo? Da sempre la nostra specie cova nella propria latebra psichica la propria disfatta, insoddisfatta e infelice com’è. Ma a livello cosciente vuole anche vivere, la disgraziata. E così si ammala. Ho rivelato la mia tesi a un vecchio amico a cui è morta da poco la moglie per le complicanze dovute al Covid, e mi ha tolto la parola, prendendo le mie argomentazioni come un insulto alla memoria della consorte stessa, dicendomi che ella non era affatto depressa e che, anzi, voleva vivere. Il dolore gli ha impedito di capire che io non parlavo delle persone prese di per sé, ma della psiche globale che funziona con meccanismi inaccessibili al singolo individuo. Ben mi sta, la prossima volta imparo a essere meno inopportuno. In questa faccenda funerea, quel che mi rattrista enormemente è la tragedia che sta patendo l’uomo di fede occidentale. In un momento penoso come questo, il credente coevo potrebbe trovare l’abituale conforto nella religione, pregare, cogliere nuova linfa vitale nel sentirsi amato e quindi salvato da Dio. E invece no. Il credente odierno ha finalmente capito che il suo Dio, il Dio di Abramo e di Cristo, è una divinità incompetente, che con grande insipienza ha dato in essere un aborto di Creazione in cui le cose sono andate sempre peggio, dal frutto proibito in poi, passando per quel brutto pasticcio dell’omicidio del Figlio succitato che ha spacciato successivamente per sacrificio, cercando di salvare capre e cavoli. Ancora oggi non capiamo chi si è salvato per quella Croce e come. I nostri governanti, puoi vederlo da te, sono un Suo legittimo riflesso. Ecco, non è la morte di Dio il guaio dell’uomo moderno, ma la scoperta che tale Entità è inesperta e inidonea, quindi del tutto non pregabile. Caino Gliel’ha pure detto che, in quanto Sua creatura, l’inclinazione al male gli è stata insufflata da Lui Medesimo, che se tende al malestro è perché tutto il Creato non è nient’altro che una sentina in cui marcire, ma Dio gli ha dato solo risposte evasive e mai pertinenti, balbettando pretestuose illazioni, se ricordi bene quel passo della Bibbia. Questo Dio così insufficiente e mediocre! Questo non è il Dio dell’ira e della guerra come in genere lo si considera per giustificarne l’arbitrarietà con cui regge il suo difettoso prodotto che fa acqua da tutte le parti. Non è un Dio geloso e possessivo. No. È un Dietto insicuro del Suo potere, che cerca continuamente conferme, ed è pure permaloso: diventa isterico se Gli preferisci altre idee, altri oggetti o altri esseri viventi, oppure quando Gli fai notare le evidenti mancanze del Suo operato. Ecco il dramma di questi poveri credenti a noi contemporanei, essere venuti a conoscenza dell’inettitudine della loro divinità che usa in modo inesperto i propri poteri. Ti rendi conto del dramma? Avere un Dio che non sa fare il proprio mestiere. Non ridere delle mie considerazioni, sono serio. Sì è fatto tardi. Domani una nuova giornata in casa passerò a respirare la polvere dei miei mobili, ma la cosa non mi dispiace affatto, a volte spero persino che a forza di inspirarla mi si formi un gomitolo di lana sudicia nell’epiglottide e mi strozzi. Rimango comunque tuo,

P***

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