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Human After All
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 18/05/2021 0 Comments 18 min read
Rituale per l'evocazione di una scimmia Previous Pioggia di sangue Next

di Andrea Cracco
Copertina: La gang della paperella – Antimonio

Sono le nove. Cazzo. Siamo in ritardo, come al solito. 

Ho la pancia in subbuglio, prima di uscire corro in bagno, devo cagare. Passo dietro ai miei che stanno guardando Dalla Vostra Parte in tv, sono ipnotizzati, lobotomizzati. Una volta seduto sul cesso però non riesco a farla, non capisco il motivo, forse sono costipato o forse è la droga. Allora mi alzo e vado davanti allo specchio. Mentre mi impomato i capelli con una cera da trenta euro comprata dal mio parrucchiere, il mio cellulare inizia a vibrare. Io me ne sbatto e lo lascio tremare fino a che non smette, non guardo nemmeno di chi si tratta. Poi ci preparo sopra due belle strisce bianche. Le adoro. Me ne faccio una, è roba buona. Il cellulare ricomincia a vibrare sparpagliando l’altra striscia polverosa ovunque. Fanculo, urlo nella mia testa. È quello stronzo di PR. Fottiti, penso tra me.
Mi guardo allo specchio e cazzo, devo regolarmi la barba. Prendo il mio rasoio Philips e lo imposto a 5 millimetri. Do una passata a tutta la barba, livellandola a misura. Poi taglio a zero quella in eccesso su collo e zigomi e cazzo sì, sono perfetto. Ricompatto la striscia sul cellulare con un campioncino di crema per il viso di mia madre e me la sparo su nel cervello. Quasi ogni oggetto della mia casa è sporco di coca. Vado in camera mia passando di nuovo dietro al divano con i miei collassati sopra. Con i cervelli svuotati. Vorrei buttare della coca nelle loro tisane.
Apro l’armadio e scelgo una t-shirt nera Gosha Rubchinsky con una scritta in cirillico stampata a caratteri cubitali rossi davanti, una bomba. Scelgo un paio di jeans neri, così stretti che mi fanno un pacco fenomenale. Metto le Adidas Boost nere e mi sembra di volare. Prendo il portafoglio e ci infilo 150 euro dentro. Mi faccio un bagno di Sauvage di Dior. Prendo le chiavi del BMW e la chiavetta USB. Lodata chiavetta.

Corro sulla Nazionale con la mia BMW Serie 1 nera, nello stereo Solomun sta suonando a palla. L’aria condizionata è regolata al massimo, la coca sta facendo il suo effetto e io non vorrei arrivare sudato. Al semaforo del centro vedo “i fioi”, una pattuglia di carabinieri, mi guardano e proseguono, forse sembro un tipo a posto. 
Arrivo dal mio socio ma non è ancora pronto e mi fa entrare a casa sua. Mi dice che deve cagare e gli dico che anche io dovrei farla ma non ci riesco. Mi dice di aspettarlo in camera sua, ma io vado a fare un giro in salotto, i suoi sono in vacanza e a me piace curiosare. I suoi sono sempre in vacanza. Vado in cucina e mi prendo una Tennent’s Super dal frigo. Torno in camera sua e sento un pezzo tech-house, che è una bomba, martellare nell’impianto del mio socio. Così vado verso il bagno e attraverso la porta urlo: «È nuovo questo pezzo?»
«L’ho scaricato prima», risponde, «hai sentito che bomba?»
«Cazzo, sì!»
Ritorno in camera e mi bevo la birra ballando il pezzo tech-house. «Lo mettiamo stasera», dico al mio socio appena torna dal bagno. Credo che lui ci sia riuscito a farla, perché si trascina dietro una puzza di merda incredibile. 
Preparo qualche riga sopra al MacBook pro del mio socio. Lui mi rimprovera, dice che non va bene pippare sopra al Mac perché è satinato. Stronzate, dico io, più una cosa costa, più è bello pipparci sopra. Poi lo insulto perché ha scelto, per stasera, una t-shirt Dsquared troppo tamarra. Ma non c’è verso e si tiene quello schifo da 190 euro addosso. 

Una volta in Serie 1 voliamo in direzione Jesolo. La birra fredda incontra l’intestino e mi fa pentire di averla bevuta. Merda! Alzo lo stereo per non parlare con il mio socio, tra la coca e l’intestino sconquassato sto sudando freddo. 
«Fanculo!» urlo. 
«Che hai?» mi chiede il mio socio. 
«Dioccan! Mi scappa da cagare!»
«Potevi farla da me.»
Fanculo, penso. Fanculo te, fanculo tutto. In Jesolana accelero e supero un paio di macchine. Corro come un pazzo mentre il mio socio cerca di mostrarmi delle zoccole con cui si scrive. 
«Mi distrai, coglione. Ci andiamo a schiantare.»

Faccio la “bassa”, in mezzo ai campi, per evitare le code e i fioi. In tasca ho coca fino a domani mattina e il mio socio, per quanto ne so, ha almeno un paio di canne per il dopolavoro.
Ci mettiamo cinquanta minuti ad arrivare a Jesolo e dieci a cercare un parcheggio, che non troviamo. Cazzo!
Perdo la pazienza e lascio la macchina sopra adun marciapiede a due passi dal bar in cui dobbiamo esibirci. Faccio quello che voglio. Prima di scendere ci spariamo altre due strisce sopra a un vecchio CD dei Daft Punk, Human After All. Una volta scesi ci incamminiamo verso il bar. Cerchiamo di farci notare.

Stasera facciamo il pre-serata in questo locale nuovo di cui ricordo a malapena il nome. A gestire le serate sono sempre loro, quelli del Collettivo. Nuova apertura, nuova gestione, nuovo format. Tutte cazzate, è sempre la solita merda e io ne faccio parte. Il locale è pieno e fuori ci saranno centinaia di persone. Questa sera c’è il pienone, penso. Prendo il cellulare dalla tasca e trovo sei chiamate di quello stronzo di Pier, il PR. WhatsApp è intasato dai messaggi che non leggo. Lo chiamo. 
«Dove cazzo siete?» chiede, rispondendomi al telefono. 
«Fuori dal locale da mezz’ora, non ho sentito il cellulare.»
«Cazzo dici? È un’ora che vi cerco.»
Poi lo vedo sporgersi, è dentro con tre ragazze e un paio di ragazzi dello staff. Gli faccio cenno con la mano e mi vede. «Ah, cazzo, non vi avevo visto, entrate.»
Chiudo la chiamata e andiamo dentro. 

Salutiamo Pier come se fosse un vero amico e lui ci presenta le tre tipe sedute al tavolo, sono tutte fighe da paura. 
«Ha un bagno sto buco?» chiedo a Pier.
«Sì, vengo anche io.»
«No, non vado a pippare. Dopo.»
«Ah, ok.»
Così, mi dirigo verso il banco e chiedo a una cameriera dove si trova il bagno. Me lo indica e io le sorrido. Entro in bagno, è minuscolo e sporco. Mi chiudo dentro e riempio di carta la tavoletta del water. Mi ci siedo sopra e inizio ad evacuare come se il mio culo fosse le Cascate della Marmora. Così tanto da farmi contrarre i muscoli di addominali e gambe e da rincoglionirmi il cervello. Appena riesco a riconnettere i neuroni, tiro fuori il cellulare e apro WhatsApp. Scrivo a Chiara: «Ci sei stasera?» e guardo le altre conversazioni. Nel gruppo del Collettivo ci sono ventisette messaggi, che palle. Guardo le stories Instagram di tutte le tipe che seguo, cercando di capire se qualcuna è a Jesolo stanotte. Ho finito, mi pulisco. Mi lavo le mani e mi annuso, spero di non puzzare di merda. Mi preparo una riga sullo schermo del cellulare e me la sparo. Sto esagerando? Mi guardo allo specchio, mi aggiusto i capelli e ok, sono perfetto. 

Quando esco dal bagno mi accorgo che in consolle sta suonando Crazy-Mind, un coglione di prima categoria. Un tipo banale, come il suo nome, chissà quanti DJ avranno lo stesso. È uno di quei tipi che compra solamente le prime in classifica di Beatport ogni mese. Nessuna ricerca musicale, bella merda. Mi avvicino e lo saluto, gli stringo la mano e gli do una pacca sulla spalla. Indossa una maglia PYREX insopportabilmente banale e un cappello su cui è stampato il suo nome d’arte. Ha sempre questo sguardo, come se ti guardasse dall’alto al basso. È maledettamente pieno di sé. Ma, del resto, lo siamo un po’ tutti qui.
Quando torno al tavolo trovo un Gin Tonic ad aspettarmi. Ottimo, penso. I drink offerti sono la massima ambizione a cui chiunque faccia parte di un collettivo come questo può ambire. Parliamo del più e del meno con Pier, il Lore e Trevisan e discutiamo sull’orologio nuovo di Pier. Un Rolex, sicuramente falso. Non capisco se le tipe al tavolo con noi se le scopa già qualcuno. Ci scambio comunque qualche battuta, faccio il simpatico. Questa sera sono davvero bello, sono sicuro che almeno due di loro si farebbero scopare da me. Dal DJ.

Tra poco tocca a noi, così Pier ci offre qualche riga della sua roba in bagno. La mia era più buona, quindi non mi faccio. «Che puzza di merda qua dentro!» dice il Lore. «Cazzo, sì!» rispondono un po’ tutti. Mi spalmo comunque un po’ di coca con il dito sulla gengiva per anestetizzarmi, e finisco il mio Gin Tonic. Appoggio il bicchiere vuoto sopra la tavoletta del cesso ed esco, dietro di me gli altri quattro. Una coppietta ci guarda sbalorditi uscire dal bagno degli uomini in fila indiana. «Stavamo scopando», dice Pier alla coppia.
Passando davanti al bancone cerco di farmi notare dalla barista tatuata, mi farei pure lei. Vado verso la consolle con il mio socio. Pier dice qualcosa all’orecchio di Crazy-Mind e i due sorridono, non capisco cosa ci trovi la gente, e Pier, in questo DJ così banale e così incapace. 
«Ehi bello. Grandissimo, come sempre», dico a Crazy-Mind avvicinandomi e abbracciandolo. Lui ci saluta di nuovo, ci abbracciamo. «Bestiale sto pezzo!» continuo a mentirgli mentre lancia la sua ultima canzone. Noto solo ora le scarpe, orribili. 

Il mio socio collega la sua chiavetta e ci attacchiamo alla musica come un treno ad alta velocità. Partiamo cauti. È voluto, è calcolato, è una bomba. Facciamo capire ai clienti del locale, assuefatti dall’alcol e dai monotoni kick di Crazy-Mind, che siamo arrivati in consolle. Poi i nostri pezzi infiammano: 124 bpm e un basso caldo e armonioso, ora un groove che ricorda l’America Latina. Cazzo, lo adoro. Alterniamo le canzoni, io al deck di sinistra e lui in quello di destra. Improvvisiamo, lo facciamo spesso a questi eventi. Lanciamo i pezzi cercando di stupirci a vicenda. Siamo in sintonia. Come fratelli siamesi. Alla seconda canzone faccio cenno alla cameriera che viene in consolle, ordino due Gin Tonic. Faccio una storia al mio socio mentre fa un cambio pazzesco.
Un pezzo dopo l’altro, un bicchiere dopo l’altro. Tutto passa velocemente a ritmo di musica. Siamo in un altro mondo, in un’altra galassia. Voliamo sopra alle persone del bar. Ogni tanto intercetto qualche sguardo compiaciuto, una ragazza accenna un ballo, un palestrato batte un pugno all’aria e un ragazzo solo ci guarda e annuisce. Questo è il massimo consenso del pubblico a un pre-serata di questo genere. 

Dopo un paio d’ore finiamo, tocca allo stronzo dopo di noi. Il locale si sta svuotando e le persone si riversano nelle discoteche vicine. Io ormai sono ubriaco, siamo ubriachi. Devo fumare una sigaretta. Dentro al locale non ci hanno fatto fumare; «Non fumate stavolta», ha detto Pier. Esco e mi accendo una cicca. Mi raggiunge il mio socio con la cicca già accesa e due birre in mano. 
«Birra? Perché non un drink?»
«Avevo voglia di birra. È fresca e ho sete.»
Nel frattempo, ci raggiungono Pier, il Lore e le ragazze di prima, una mi guarda particolarmente. Questa sera ci scopo, me lo sento. Cazzo, a proposito, Chiara. Guardo le notifiche WhatsApp e c’è un suo messaggio: «Forse vi raggiungiamo al Muretto». Ottimo, penso. 
«Ci vediamo al Muretto?» chiede Pier. 
E io dovrei guidare messo così? Guardo il socio e penso di non aver alternative. Di lui ubriaco non mi fido. Faccio un cenno con la testa e chiedo: «Oh, Pier, poi ci fermiamo in appartamento?»
Pier, il Lore e alcuni del Collettivo hanno preso in affitto un appartamento qui a Jesolo, è una bomba. Lo tengono per tutti i mesi estivi. Hanno speso un botto, e non riesco proprio a capire con che soldi lo paghino. Proprio qua vicino a Piazza Mazzini. Tutto moderno, una figata. «Non so ‘more, dopo vediamo.»
«Dai no star rònper e facci dormìr là.»
Rido, ride anche il mio socio, ridono tutti, mi sembra. 
Pier fa un cenno e si allontana con gli altri. 

Prendo il Serie 1 e prima di partire prego tutti i santi che non ci sia un posto di blocco per la strada. Maledetto Pier, infame. In macchina il mio socio non sta zitto un momento, secondo me ha pippato ancora, e chissà per quante volte. Ma quando?
Arrivati al Muretto dico al parcheggiatore indiano – o quello che è – che voglio metterla davanti all’entrata, lui fa storie ma io la metto lo stesso. Fuori ci sono Pier e gli altri che ci stavano aspettando. Sento i bassi di Carola tremare ovattati dall’interno. Passiamo senza fare nessuna fila, ovviamente. Sorridiamo a tutti, buttafuori e tizi, non conosco nessuno di persona e di quelli che conosco non ricordo il nome. Ci pavoneggiamo. Una volta dentro, andiamo verso il bar e Pier saluta il barman. «Cosa prendete?» urla verso di noi. Io prendo un Gin Tonic, naturalmente. Il mio socio prende un Long-Island. Che cazzata, il Gin Tonic è più adulto. «Ragazze, dopo vi porto al tavolo», dice Pier alle tre ragazze. Io continuo a sorridere a quella che vorrei scoparmi. Sono tutte molto belle, tre statue di cera. I visi disegnati dal contouring e lucenti d’illuminante. 
Mentre aspetto i drink controllo Instagram. Condivido tutte le stories in cui mi hanno taggato mentre suonavo, sto veramente bene. Ora faccio una storia qui, una panoramica per mostrare a tutti che sono arrivato. Scrivo di nuovo a Chiara: «Vieni allora?» Visualizza e non risponde.
 
Ci dirigiamo verso il tavolo che, a quanto pare, è dalla parte opposta. Passeggio sorseggiando il mio drink, e guardo il culo delle tre ragazze davanti a noi. È pieno di ragazze qua dentro. Il mio socio continua a parlarmi di musica. «Carola non mi piace più», dice. Parla come un robot e continua a toccarmi la spalla, è strafatto. Ascoltandolo, mi rendo conto di essermi dimenticato di pippare in parcheggio, prima di entrare. Ma come sto? «Cazzo, vorrei farmi», gli dico, ma non mi sente. Passiamo tra i tavoli per raggiungere il nostro. «Ehi, ci sei anche tu?» dice una ragazza mentre passo vicino al suo tavolo. È Silvia. Abbiamo scopato per un paio di mesi, un paio di anni fa. È sempre una gran mona. «Ovvio», rispondo. Poi mi dice qualcosa che non capisco, forse riguardo la musica, o forse riguarda noi. Dev’èssere arrivata presto, è così ubriaca che fa fatica a mettermi a fuoco. Ha gli occhi lenti e stanchi. Cerco gli altri con lo sguardo ma non li trovo. Lei balla su di me come fossi un palo da lap-dance. Io la assecondo e mi stringo a lei. Accarezzo il suo vestito fradicio di sudore. Ci baciamo. Un bacio che sa di pessimo alcol. Il sapore mi fa schifo ma la cosa mi eccita. Credo perfino di avere un’erezione, forse è la coca. A proposito: «Ti va un po’ di roba?» le dico toccandomi il naso come in un film anni ‘80. Lei fa no con la testa e mi sorride. «Dai, andiamo in bagno», le dico, e mi incammino. 

Mi faccio largo tra la ressa fino a uno spazio vuoto vicino al bar. Quando mi giro non vedo più Silvia. La cerco tra la gente ma non la vedo, credo mi abbia abbandonato. Fanculo, ci vado comunque. Appena fuori dai bagni metto una mano in tasca e non trovo la roba. Tasca destra, sinistra, dietro. Dove cazzo è? Mi è caduta? Forse l’ho lasciata in macchina. Nel frattempo ho finito il mio drink, così ritorno al bar per prenderne un altro. Passo davanti a tutti sventolando una drink card omaggio. Prendo un altro Gin Tonic e al primo sorso mi rendo conto di avere la mente davvero annebbiata. Bevo un altro sorso. Con fatica cerco il numero del mio socio. Lo schermo del cellulare mi abbaglia. Lo chiamo. Lui non risponde. Nemmeno Pier. Non ho messaggi di Chiara. Nessun nuovo messaggio. Bevo un altro sorso. E un altro. Vado in pista.
Carola butta benzina sul fuoco, un disco dietro l’altro. Il mio cervello è ormai un tutt’uno con la musica. Le mie viscere vibrano, seguono i bpm. Il cuore va a ritmo di kick. Ho caldo, davvero caldo. Bevo un altro sorso. Il Gin Tonic ghiacciato mi fa venire la pelle d’oca. La pelle diventa più sensibile, sento le gocce del mio sudore uscire dai pori. Le sento correre lungo la schiena, le braccia. Le mie braccia nude e sudate toccano quelle delle altre persone. Il mio sudore si mescola con il loro. Anche l’aria rovente sa di sudore. La puzza mi entra dal naso fino a toccarmi la gola. Dopo qualche minuto sono inebriato. Bevo un altro sorso. Continuo a ballare tra la gente, compresso tra le persone, avvolto come un bambino in un tiepido asciugamano.

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