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By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 15/09/2021 0 Comments 6 min read
Seiunpeso Previous L'arrivo della primavera Next

di Arianna Cislacchi
Copertina: Ottavia Marchiori – Inner sorrow

Una porta che sbatte. Un piatto si frantuma. La pila intera che piove lungo il pavimento. Periodo di semina. I sussulti nel buio, in un angolo, sono un disco rotto del 1985. Nient’altro che suoni fastidiosi, gutturali. Se ne sta lì, ferma, con occhi fuori da ogni grazia. Cerchi aiuto? Perché gridi? E se ci sentono i vicini? Urli troppo forte quando ti arrabbi.

Eccolo, il campanello. Come previsto; ci risiamo: dito che insiste, si contorce, picchietta. Ding. Ding. Ding.

Vado alla porta, cammino lentamente. Sbircio dallo spioncino.

Chi è?

Sono la signora R. la vostra vicina.

Ah, sì.

Qualcosa non va?

No, tutto bene.

Ho sentito delle url…

Stiamo vedendo un film.

Ah, ecco mi sembrava.

Faccio segno a Giulia di stare zitta, indice all’orizzonte, taglio l’aria sotto la gola. Guai se fiata. Lei si nasconde, si accuccia, si fa piccola alzando le spalle. Odio quando piange a singhiozzi, mi fa quasi pena.

La vecchia finalmente gira i tacchi e se ne va, porta il suo naso impiccione altrove. Grazie a Dio. Do un calcio al muro, immaginando per un secondo la soddisfazione di tirarglielo sulla faccia. Poi, mi volto verso Giulia.

Alza lo sguardo su di me e scuote la testa, mormorando qualcosa, una fastidiosa litania. Si copre il viso con le mani. Quell’atteggiamento mi irrita ancora di più. Sto raggiungendo il limite. Vattene a fanculo. Le passo davanti e vado dritto in camera da letto. Salgo le scale, getto le scarpe per aria.

Da quando è morta mia madre, Giulia dice che non sono più lo stesso.

Ma si sbaglia: io sono sempre stato così. È lei, che non è se stessa da molto tempo.

È mezzanotte. Tic. Tac. Tic. Tac. L’orologio scatta, le lancette danno il via al verso di un uccello. È uno di quegli strani arnesi che produce versi di animale a ogni ora. Giulia ci tiene tanto, così lo lascia in bella vista davanti al nostro letto. Mi sdraio, lo osservo con disgusto e comincio a toccarmi.

Poco dopo lei è vicino a me. Striscia, si piega, sparisce sotto le coperte. Ansima nelle tenebre. Stringe qualcosa tra le mani, sento che maneggia, sposta, apre. Poi, il rumore di uno scatto.

Che fai?

Lei sussulta. Uno scatto ancora. Un flash. Osservo le lenzuola che si illuminano ad ogni click, un alone sporco e biancastro. Sta scattando delle foto con la polaroid. Al buio. Scatta foto al buio.

Te sei fuori di testa. Come ho fatto a prenderti con me, nessuno lo sa.

Giulia scoppia a piangere. Singhiozzo. Scatto. Flash. Cucú. Quando si scarica sto orologio di merda?

Ignoro la sua presenza e continuo a masturbarmi. Improvvisamente tremo, inclino la testa e vengo pensando a lei. Assurdo. È qua accanto a me, ma non riesco a farci nulla. Come se toccandola potesse rompersi. Forse non sono più attratto da lei. O magari è solo un momento. Un periodo. Un periodo che dura da troppo tempo ormai. Ma lasciarla non è pensabile; ho bisogno di stringerla tra le mani. La sua esistenza funge da cavo, da spina. Lei mi dona l’elettricità di cui ho bisogno, e così vengo alimentato ogni giorno della mia vita dalle sue paure, dalle sue emozioni, da ogni piccolo frammento della sua anima. Si consuma un poco alla volta, solo per me. Per questo non la lascio. E poi, lei non lo farebbe mai, è una garanzia: dipende da me come un tossico dalla sua dose. Io sono la dose di Giulia. E Giulia è soltanto mia. Fa tante scene, ma non la tocco mai con un dito. Fa correre i vicini, come se la stessi picchiando. Ma lei non sa cosa sia la vera violenza.

A cosa pensi, Alessandro?

Non le rispondo. Russo. Morfeo mi droga e mi frantuma in mille pezzi tra le sue braccia. Domani è un altro giorno.

Bzz. Il telefono vibra. Lo sento in lontananza, poi parte la sveglia. Questo concerto mi da sui nervi. Mi giro, quando tutto ha smesso di risuonare nell’aria. Nel silenzio, noto le lenzuola arricciate, macchiate di rosso. Delle foto sparse sul cuscino. Foto completamente buie. Annuso le chiazze. Sangue?

Ho la testa che mi gira. Sento odore di benzina nell’aria. Mi viene da vomitare, c’è un’esplosione di spilli nel cranio. Fuori è già l’alba. Vado in bagno barcollando e la vedo nella vasca. Si sta facendo il bagno. Rimango immobile sulla porta. La schiuma gonfia il suo petto, le circonda i seni, immersa, una creatura bianchissima, silenziosa, soffice, ingoiata da un’acqua sfumata di sali rosa. La guardo e mi perdo in quella visione. Nelle mutande qualcosa si risveglia e sento il cavallo dei pantaloni stringere. Quanto è bella Giulia. Improvvisamente la desidero. Non accadeva da molto tempo.

Mi spoglio, entro nella vasca senza il suo permesso e la faccio mia. La costringo, lei urla, ma io la ignoro. Tutto si fa più forte. Più violento. Sta dicendo qualcosa, Giulia, dice di smetterla. Ma io sono in un altro mondo, un mondo lontano anni luce dal suo. Giulia non fiata più. È successo qualcosa, ma sto per avere l’orgasmo e chiudo gli occhi. È fare l’amore quello? O è un’altra forma, di amore? Non appena finisco scivolo via, tolgo il tappo e mi asciugo. La vasca è macchiata, l’acqua colorata vortica e sparisce nello scarico. Giulia ha smesso di parlare. Muta. Agonizzante un minuto prima, soporifera l’istante dopo. Esco dalla stanza. Muoviti a finire Giulia.

Silenzio. Gelo. Un’ameba. Un corallo. Esiste, senza turbare l’universo. Come se non ci fosse. Sono nel corridoio e mi fermo a pensare; osservo le orme lasciate sul pavimento, poi mi guardo le mani. Alcune ciocche di Giulia sono arricciate intorno alle dita, spezzate come spighe di grano.

Di punto in bianco sento un rumore alle mie spalle. Sembra familiare, ma qualcosa non mi convince.

Click.

Lo sento di nuovo e mi giro. Ma lo scatto non è della polaroid. La fisso, provando un terrore surreale. Ricarica.

Ma che fai Giulia. Giulietta bella, amore mio. Stai tranquilla, vieni qui. Abbracciami. Giulia alza le braccia, prende la mira. Dai piccola, posala. Posala, per favore. Finiamo questa pagliacciata.

Dopo tanti anni rivedo il suo sorriso.

Abbassa le mani e sospira.

Un boato mi distrugge i timpani. Grido e mi chino a terra come un cane, colpisco il pavimento con la fronte. Sento qualcosa di bollente penetrare la carne, poi una gamba fradicia. Forse mi son pisciato addosso, ma no, no quello è sangue. Che scivola copioso, a fiumi. Mi piego a terra, gemo e chiamo aiuto. Urlo con tutta la voce che ho in corpo. C’è qualche stronzo che può salvarmi?

Improvvisamente, suonano al campanello. Il suono è acuto, insistente. Giulia, con il sorriso stampato in faccia mi passa sopra e sculetta verso l’ingresso, l’arma nascosta dietro la schiena. Sento un cigolio. La vista si annebbia. La mia bocca non emette che un soffio.

Buongiorno, signora R.

Buongiorno cara. Ho sentito degli strani rumori, tutto bene?

La sento esitare per un secondo. Poi il tono della mia Giulia si fa allegro, eccitante.

Sì, certo. Stiamo vedendo un film.

Arianna Cislacchi Autrici Click Inner sorrow letteratura Masturbazione Ottavia Marchiori Racconti


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