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Liberarsi della roba del tuo ex
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 07/02/2023 0 Comments 20 min read
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di Chiara Arrigoni
Copertina di Pablo Follieri

Sono un paio di notti che ho iniziato a spulciare su internet su quei siti dove vendi la tua roba usata e puoi farci un po’ di soldi. Abbigliamento e accessori per lo più. Il mio obiettivo non è guadagnarci, ma prendere quelle cose e scaricarle nella vita di qualcun altro. Liberarmene chirurgicamente come ci si libera di un agglomerato di cellule tumorali.

Ho cercato su Google se è una cosa che anche gli altri fanno. Perché a pensarci ha un che di sbagliato, di non elegante. Forse per il fatto che ci sono di mezzo i soldi. Allora perché non prendi semplicemente quelle robe e le butti via, mi dico. Ho scritto “rivendere i regali del tuo ex è brutto” e mi è venuto fuori un sito che mi ha spiegato che è una cosa psicologicamente sana da fare. Le parole d’ordine sono: chiudere un capitolo per iniziarne un altro, purificarsi dall’energia negativa che si attacca alle cose e non le molla più.

L’importante è che lui non lo sappia mai. Userò un account dal nome bizzarro e non riconducibile a me, non metterò mai foto in cui mi si vede la faccia, lo sfondo sarà sempre una parete bianca.

Sento una frenesia sottopelle all’idea di inquinare le vite di altre persone con le sue cose. Sento che farò del bene a me stessa. Che la casa tornerà a essere mia. Che il corpo tornerà a essere mio. Le ossa, la pelle, i muscoli, le viscere, il fondo nero della gola, tutto tornerà a essere mio.


Stamattina inizio coi suoi ultimi regali. Parti da quelli più recenti mi sono detta, da quelli già infelici, vedrai che fanno meno male. Rovisto nel cassetto e trovo il body nero provocante che mi ha regalato una settimana prima che ci lasciassimo. C’è ancora l’etichetta. Il mio corpo ci è entrato solo una volta, lì dentro: l’ho provato davanti a lui, ci siamo guardati, i nostri occhi erano spenti, il suo dito indice tamburellava sulla gamba. Poi prendo la giacca verde, che risale a quattro o cinque mesi fa, non mi ricordavo neanche che esistesse, e il maglione color petrolio dentro cui il mio corpo sbiadito cercava di sparire, e il borsellino di velluto che mi ha comprato in aeroporto, dove è rimasta incagliata qualche moneta che viene dai nostri dieci giorni in Messico. Millecinquecento euro a testa dio santo quando ci penso mi sento schiacciare i polmoni. Lui ha amato quel viaggio, io ricordo quasi solo un pezzo di burritos che mi si incastra nell’esofago e un cameriere che mi preme lo stomaco per farlo uscire.


Il funzionamento di questi siti per la vendita di vestiti richiede una quantità di micro-procedure che mi impediscono di godermi del tutto il momento liberatorio. Mi iscrivo al sito, scelgo il nome utente, COSECHEAMAVO, è un po’ aggressivo il maiuscolo ma voglio dare questa idea, di un urlo sconclusionato e feroce. Carico le foto, descrivo in modo sbrigativo i miei vestiti, sì, sono usati, no, non hanno difetti particolari, sì, sono in ottimo stato, mi sembra quasi un interrogatorio, e io vorrei rispondere che li ho a malapena messi, perché tutto tra noi si stava sbriciolando e quei tessuti, addosso alla mia pelle, attaccati alle mie costole, mi sembravano una prigione. Che ci finisca qualcun altro, lì dentro.

Metto come foto profilo una parete bianca in cui si intravede la coda di un gatto, premo “salva”, attendo che qualcuno da qualche parte nel mondo voglia prendersi quelle cose e accoglierle nella sua vita.


Tutta la mia roba, in blocco, viene acquistata da una certa Lily.92. La sua immagine profilo consiste in due gambe nude che terminano in una gonna a fiori stretta sui fianchi. Sembra avere un culo sovrabbondante, armonioso, compatto, un pezzo di corpo lucido come una statua greca, non come il mio che è spigoloso, ostico, disomogeneo. Vedo il corpo di Lily.92 incastrato nel mio body, la sua pelle bianchissima, luccicante, sono lì con lei mentre un paio di mani da uomo glielo sfilano con impazienza, fai piano che le è costato un sacco di soldi, vorrei dirgli, il body poi finisce a terra nella penombra mentre i muscoli rampanti delle cosce di lei si spremono contro quell’altro organismo vivente e i due corpi si consumano l’un l’altro nel piacere. Scopano davanti allo specchio, con foga, e quando hanno finito lei scivola via dalle sue braccia e va a recuperare il body nero, introduce le sue gambe lucide lì dentro, infila le spalline, si ammira, le piace come quei pezzi di stoffa stringano le sue natiche un po’ più del dovuto, scavano una linea rossa, una piccola tortura su quel tracciato di pelle. Lily.92 si avvicina allo specchio per ammirarsi, segue col dito indice la forzatura delle cuciture e poi si volta di scatto perché a guardare il suo corpo sovrabbondante ci sono io, rannicchiata in un angolo, con gli occhi lividi, lo spettro di quell’oggetto che tormenterà per sempre i suoi amplessi. Pensavi di aver acquistato solo un body nero e invece ci sono anche io qui con te, mi sembra di dirle, a spiare il tuo piacere e a deturparlo con la mia invidia. Lily.92 mi fissa con occhi spaventati.

Nell’ultimo anno io e lui saremo andati a letto sì e no due volte, malvolentieri, di prima mattina. Era solo un gesto meccanico, sbrigativo. Quello che Lily.92 fa, invece, è pura gioia, pura esplosione, pura frenesia.


Il giorno dopo al lavoro davanti al computer mi sento che i muscoli hanno smesso di essere una crosta dura, sono più freschi, sento meno tensione sulle gambe. Liberarmi di quelle cose mi ha fatto bene. Il mio collega che ci prova con me mi chiede se voglio fermarmi con gli altri per un aperitivo, me lo dice con un sorriso più acceso del solito. Ti vedo bene oggi, che hai fatto di speciale? Io resto in silenzio per qualche secondo prima di accorgermi che i miei pensieri sono ancora bloccati sulla faccia di Lily.92 che si guarda allo specchio. Niente di che, sono andata a fare una maschera viso rilassante, sarà per quello, dico io, sbrigativa. Te la consiglio, sono andata in pausa pranzo dall’estetista qui all’angolo, è brava, la cosa che mi ha messo sulla faccia sapeva di frutti tropicali. Allora ti conto per l’aperitivo, mi dice lui. Si dà l’aria di una persona di successo, di uno che organizza aperitivi a cui la gente vuole andare. Accetto non so neanche perché, prevedo di annoiarmi, coi colleghi non salta mai fuori una serata interessante, non fanno che parlare di business e usare termini inglesi.

Mentre bevo il mio Martini e il collega mi racconta del suo corso di difesa personale in palestra io faccio nella testa il calcolo delle cose che il mio ex mi ha regalato che potrei ancora vendere. Mi chiedo dove le avrò messe, se sono ancora in buono stato, mi chiedo se non mi sto dimenticando di qualcosa, mi chiedo se qualcuna le comprerà.


L’effetto benefico della vendita online delle sue cose si è dissolto. Dopo una settimana ho bisogno di farlo di nuovo. Apro gli armadi, spalanco i cassetti, scavo in mezzo alla mia roba, infilo le dita negli angoli come se gli oggetti si stessero nascondendo da me.

Ecco dov’era finito. Estraggo dal fondo di una scatola il profumo che mi ha regalato un anno e mezzo fa, Mango skin. La boccetta è quasi del tutto piena. L’ho messo per un mese e poi ho capito che era lui a farmi venire mal di testa. Avvicino le mie narici al foro da cui esce il liquido, si dilatano mentre fanno entrare le sue note fruttate. Ricordo le narici di lui che si appoggiano alle mie clavicole umide di doccia su cui l’avevo appena spruzzato, le sue labbra che mi cercano, un nodo che mi comprime lo stomaco, ora sì che mi viene voglia di mangiarti, aveva detto lui, e io avevo sorriso in modo deciso. Quell’odore a contatto con la mia pelle lo sentivo troppo spinoso, quasi urticante, non so perché, su di me non funzionava, i miei tessuti respingevano le sue gradazioni dolci, ributtavano indietro una sensazione amara. Ma lui era più per le cose amare che dolci. Ricordo che mi aveva divorata e che mi era piaciuto lascarmi divorare, ricordo il cigolio del letto e le mie unghie sui suoi fianchi.

Nella descrizione per il sito metto che è un profumo evocativo, sensuale, per chi ama il flirt e preferisce l’estate all’inverno.

Dopo un paio d’ore mi arriva la notifica che Lily.92 ha acquistato la mia boccetta di Mango skin. Di nuovo lei. Sorrido. So che su questi siti la gente si fidelizza, se si trova bene finisce che prende sempre le cose da te, attiva le notifiche quando posti una nuova cosa, corre a cliccare per essere lei a comprarla. Non mi dispiace quest’idea.

Vedo Lily.92 davanti allo specchio con una maglia scollata, il suo collo bianchissimo leggermente reclinato, il vapore si attacca alle sue clavicole insieme al sentore di mango, la sua pelle restituisce una miscela dolciastra, invitante, succosa. Si sente il rumore delle chiavi nella toppa, Lily torna alla sua scrivania, lui entra e la trova davanti al computer che finisce di mandare una mail di lavoro. Hai qualcosa di strano, dice lui. Dici? Gli occhi di Lily.92 si restringono. Lui le si avvicina da dietro, le dà un bacio sul collo, le sue narici risucchiano quell’aroma ammaliante. Vieni, andiamo in camera, le dice, ma lei vuole che lui la prenda lì, i suoi colpi precisi e ritmati fanno tremare il tavolino, il sudore di lei si mescola al profumo, il suo corpo diventa umido, il mango si sprigiona in tutta la sala e si infila nell’intonaco, sotto il tappeto, nelle pieghe del divano, io sono lì accucciata in un angolo a guardarla e lo sento sotto la mia lingua, in fondo al palato, come una spina che è rimasta incastrata all’inizio della gola.

Suonano alla porta. È il corriere che mi consegna la gonna a fiori che mi sono comprata. È stretta sul culo, simile a quella della foto di profilo di Lily.92. Prima di acquistarla ho controllato se anche lei vendesse la sua roba, ma non c’è niente. A quanto pare Lily.92 usa il sito solo per acquistare. Peccato.

Estraggo la gonna a fiori dal pacchetto e inizio a infilarla dai piedi. L’ho comprata molto stretta, anche se il mio culo è striminzito. Voglio che sembri che stia per esplodere, proprio quell’effetto che fa nella foto di Lily.92.

Mi guardo allo specchio, osservo come la gonna spreme la mia carne, mi sembra quasi di sentire la voce di Lily.92 che si fa coraggio e viene a dirmi delle cose all’orecchio, stai bene così, ti fa un bel culo, ti mette addosso un po’ di colore che la tua pelle sembra grigia, spenta, dovresti metterti dei colori più accesi quando esci, il rosso per esempio. Lily.92 mi sistema una grinza sulla gonna, mi ammira. Io sorrido.


Quindi ti va una birra stasera dopo l’ufficio? Questa volta sono io che glielo chiedo, al mio collega. Non se lo aspetta, fa una faccia strana. I suoi discorsi mi annoiano, l’idea di andarci a letto mi eccita in alcuni momenti e in altri quasi mi repelle, e ultimamente sono stanca, arrivo a fine giornata che i muscoli mi tremano. Però non so perché ma esce dalla mia gola una voce sicura, vorace, c’è un pub nuovo sotto casa, gli dico, potremmo provarlo. Ottima idea, risponde lui, gli faccio strada, gli cadono gli occhi sul mio culo, penso a quanto mi stia bene quella gonna a fiori, nelle mie vene divampa una specie di formicolio che non so da dove venga e mi dico coraggio, sta andando tutto bene, abbandonati.

Al secondo giro di birre sento l’alito di lui che mi pizzica sotto il collo e penso al fatto che preferirei essere a casa a guardarmi una serie TV sul divano, immagino di alzarmi e andarmene lasciandolo lì senza spiegazioni ma c’è Lily.92 che mi guarda da un angolo e i muscoli mi si inchiodano alla sedia, mi fa cenno di no con la testa, resta, mi dice, seducilo, divoralo, svuota il tuo vuoto dentro di lui, ti sentirai meglio dopo, ti sentirai viva.

Obbedisco.

Mentre il mio vuoto si attacca alla pelle di lui i miei occhi restano sbarrati, in attesa di un incantesimo che non si compie.

Dopo non mi sento così tanto meglio come avrei sperato. Non mi sento neanche così male. Mi sento solo uguale a prima, un po’ più sudata, con quella specie di strana noia che ultimamente mi si ferma a metà dei polmoni.

Il mio corpo si rannicchia in un angolo mentre il mio collega si addormenta dopo una prestazione sessuale molto rapida. Il suo letto lo sento ruvido, pieno di pieghe che mi segnano la pelle, non riesco a trovare una posizione comoda e lui inizia a russare. Ripenso a quel che avevo letto su quel sito che mi incoraggiava a vendere le mie cose online: chiudere un capitolo per iniziarne un altro, purificarsi dall’energia negativa che si attacca alle cose e non le molla più.

Perché non sta del tutto funzionando? Perché non mi sento ancora bene? Cosa devo fare ancora per liberare lo spazio per una nuova vita?


Lily.92 ha cambiato la sua foto profilo: ora c’è un tatuaggio con un serpente arrotolato al suo polso destro. È circondato da un alone rossastro, quindi deduco l’abbia fatto da poco. Vedo Lily.92 che si stende su un lettino insieme allo stesso uomo delle altre volte. Da chi comincio? chiede il tatuatore. Vado io, dice Lily.92. Con un mezzo sorriso indica il punto preciso in cui vuole che l’inchiostro entri nella sua pelle, prendi un respiro, le dice il tatuatore, e poi parte a iniettarle dentro dei piccoli frammenti di liquido nero, goccia dopo goccia. Vedo l’altra mano di Lily.92 che si stringe a quella di lui, resisti, poi il ricordo di questo dolore sarà quasi piacevole, le dice, mi brucia, risponde lei, perché hai fatto andare prima me che se avessi visto che faceva così male non l’avrei fatto, ma lui le risponde che è proprio quello il punto, non doveva saperlo, lui invece di tatuaggi ne ha già fatti tanti ed è già pronto. Dagli occhi di Lily.92 esce una lacrima, i suoi muscoli sono tesi. Lui la bacia sulle labbra e la punta della sua lingua si infila leggermente dentro, i muscoli di lei si alleggeriscono, se resisti quando torniamo a casa ti passo la lingua da un’altra parte, le sussurra lui all’orecchio.

Escono dal negozio che si sono tatuati entrambi un serpente arrotolato. La faccia di Lily.92 è raggiante, un po’ tramortita dal dolore, la sua pelle è delicata e le sue terminazioni nervose hanno tremato a ogni colpo di quell’ago, ma ora si sente tonica e piena di vita.

Chissà cosa significa quel serpente. Mentre cerco di ingrandire l’immagine di profilo di Lily.92 mi si chiude all’improvviso lo stomaco e una specie di prurito simile all’inizio di un dolore mi preme sulle costole nel lato destro.

Corro in bagno e mi tolgo la maglietta. Guardo allo specchio il mio busto troppo secco e in una nicchia di pelle sopra il polmone destro il tatuaggio che ho fatto con lui all’anniversario di tre anni fa mi fissa, gli occhi di quella rondine sono demoniaci, rapaci, la lingua che esce dalle sue fauci comincia a ondeggiare, diventa un buco nero che inizia a divorare tutto, fagocita da dentro la mia cassa toracica, gli organi interni, le vene si attorcigliano e sgusciano in mezzo a quella voragine e mi sento mancare il respiro, sento che tutto il mio funzionamento biologico sta collassando, sento le fauci di quel buco nero che si spalancano per risucchiarmi.


Entro nel localino angusto dove avevo fatto il tatuaggio con le ossa doloranti, stai bene? mi chiede il tatuatore. Mi guarda come se avessi una faccia strana, sento il peso della mia pelle che grava sul mio cranio e con voce spinosa gli spiego cosa deve fare. Se proprio insisti, dice lui.

La violenza della rimozione del tatuaggio mi gratifica, mi sembra un atto di purificazione, sento le mie ossa gelide che si attivano a ogni colpo e mentre la mano del tatuatore percorre l’intera sagoma della rondine mi volto perché sento come una pesantezza nell’aria e vedo che Lily.92 è lì, in piedi, davanti a me, che mi fissa. Pensavi di essere venuta a toglierti il tatuaggio e invece ci sono anch’io, qui con te, e mi sorride con occhi dolci. Inizio ad agitarmi, calmati, che ti prende, mi dice il tatuatore, il suo assistente mi tiene fermo il busto mentre lui continua con la rimozione e io sono lì, imprigionata, col fiato spezzato, davanti al ghigno di Lily.92 che si tende a ogni mio gemito. Rilassati, sembra dirmi lei, centimetro dopo centimetro ti libererai di lui e starai meglio. La voce di Lily.92 che entra nella mia testa è calda e appuntita, mi ferisce eppure mi dà un senso di sollievo, tutto a un tratto il bruciore che sento sulla pelle torna a piacermi.


Mi porto in giro quel bruciore per giorni, sotto le magliette, stretto intorno alle camicie, poco sotto il reggiseno. Me lo porto in giro e sento che Lily.92 è poco distante da me, con il suo serpente che le incatena il polso, la superficie viscida di quella pelle squamosa la accarezza mentre lei va a fare shopping, mentre entra in ufficio e saluta la sua collega, mentre si spoglia insieme a lui e i loro corpi si attorcigliano in un angolo di pavimento gelido e io penso ma perché proprio lì ti vai a infilare, non era meglio il letto? E mi viene in mente quando io e lui abbiamo scopato sul pavimento di fronte alla cucina e il nostro sudore e i nostri liquidi si sono depositati lì per sempre e chissà quanto tempo ci mettono ad andarsene, le tracce biologiche delle persone, quanto ci mettono a marcire i nostri fiati, i nostri desideri.

Torno a casa di corsa. Col cuore che mi martella entro nello sgabuzzino. C’è ancora la cassetta degli attrezzi che lui aveva comprato chissà perché. La apro. Prendo un martello. Vado davanti alla cucina e fisso un preciso angolo in cerca delle tracce che io e lui vi abbiamo lasciato. Spacco furiosamente quel pezzo di pavimento. Lo spacco con forza, urlando, i miei muscoli pulsano, rido e urlo insieme, e mentre sfondo le piastrelle sento in un angolo la risata di Lily.92 che mi incita, brava, mi dice, ancora, mi dice, vai avanti, ti sentirai meglio, coraggio, distruggi tutto, tutto, tutto. Anche lì, ti ricordi, lì gli hai fatto quel pompino che non si meritava, mi dice, e io mi precipito ed eseguo, e poi anche quel tavolo, lì avete mangiato quel sushi che ti è rimasto sullo stomaco, e poi lì, lì, lì, ovunque, e io obbedisco, distruggo, urlo, grido, faccio sparire ogni pezzo della mia casa, riduco in polvere i nostri anni assieme, sbriciolo i mesi i giorni i minuti i secondi, le mie braccia sono così forti che mi accorgo che non sono solo io, a distruggere, ma c’è anche lei, c’è anche Lily.92, le sue braccia corpose spaccano assieme a me in mille pezzi la mia vita, ridiamo insieme, urliamo insieme, distruggiamo tutto insieme.


Mi sdraio su quel che resta del mio letto e fisso il soffitto, sono sporca, sudata, tremante. Nel frattempo Lily.92 è distesa sul suo letto e allarga le gambe per invitare lui ad avvicinarsi, infila il suo dito indice nella bocca di lui e lo guarda coi suoi occhi perversi. Il dito viene risucchiato e risputato fuori ritmicamente, ora è umido, lei ride, le piace, anche a lui piace. Lily.92 mi guarda con occhi infuocati e io ricambio il suo sguardo. Ci capiamo al volo. Col corpo ancora stremato sollevo la mia mano destra. Mi stacco l’unghia del dito indice come se fosse una crosta ormai appassita e mentre un fiume di sangue mi scende sulla mano e un dolore lancinante si irradia da lì ecco che un po’ di quel peso sul cuore si allenta e mi sento improvvisamente meglio. Dall’unghia passo alla mano e mi sfilo un guanto di pelle finché non viene via e mentre bruciano tutti i piccoli segmenti rosei sento che una parte di me esulta. Mi guardo le falangi, diventano artigli, diventano coltelli, con la punta della lama delle mie dita creo una fessura in mezzo al petto, precisa, affondo un paio di centimetri, poi scavo di lato, verso sinistra, estraggo un cuore che si restringe e si dilata, in modo sempre più convulso, lo prendo, lo stringo, lo spremo come un’arancia, finché non esce un succo, finché non resta più niente, e ora che tutto tace, ora che sono seduta davanti al nulla che mi è rimasto addosso, mi sento vuota, mi sento una pagina bianca, mi sento che ho fame, mi sento che mi mancano le forze, con quel mucchio di me che mi è rimasto in mano cosa ci posso fare? Sono libera da tutto. Libera da me. Forse è troppo poco quello che mi è rimasto addosso, ma ormai è tardi. E Lily.92 è in un angolo che ride, il suo cuore pompa al ritmo di due cuori assieme, il suo sangue le scoppia dentro le vene da quanto ne ha addosso, le sue unghie come artigli affondano nel corpo di lui, mentre loro si uniscono divampano di troppa vita e io sono lì, esanime, in un angolo della sua stanza, a fissarla, per sempre.


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