Studio intorno alla figura e all’opera di Gloria E. Anzaldúa a partire da Luce nell’oscurità – Luz en lo oscuro

di Gloria E. Anzaldúa e vari*
Copertina di Meltemi Editore

Luce nell’oscurità – Luz en lo oscuro, di Gloria E. Anzaldúa, edito da Meltemi Editore, è un volume a cura del Gruppo Ippolita, con la traduzione di Laura Scarmoncin e la consulenza culturale e traduttiva dalla lingua spagnola di Saya Mamani.

Premessa e scopo del lavoro

L’occasione di questo studio nasce dalla disponibilità di Meltemi, che ha messo a disposizione non tanto e non solo una copia di Luce nell’oscurità, ma la possibilità di pubblicarne qui e sui social (torneremo su questo) alcuni estratti a scelta, con una lungimiranza e una generosità rare nell’editoria non solo italiana. È chiaro che nell’immediato questa iniziativa non porterà probabilmente a vendere copie del libro, tuttavia non esiste metodo migliore per veicolare l’opera di un’autrice che parlarne. In questo caso specifico, parliamo di un’opera e di un’autrice che sono completamente immerse nel fuoco del tempo; parlare di Luce nell’oscurità e di Anzaldúa significa parlare della storia del mondo, del presente e del futuro che possiamo provare a costruire.

L’idea è di provare a studiare questo testo collettivamente e quale strumento migliore dei social per farlo, si è pensato! Così abbiamo fatto, pubblicando i primi due estratti su facebook e instagram, sulla pagina di Malgrado le mosche, nell’intenzione di ricevere una marea di commenti, di carattere personale e più accademico. Questi commenti non sono mai arrivati, nonostante il seguito considerevole. Ci siamo chiest* come mai e come al solito non abbiamo una risposta univoca né certa. Quello che sappiamo è che i social si prestano poco a discussioni di questo tipo (il tentativo era anche di scardinare questa abitudine. I famosi algoritmi non sono niente di misterioso, sono un elaboratissimo complesso di azioni volte a confermare le abitudini per tentare di vendere pubblicità riferite a prodotti che, a loro volta, confermano quelle abitudini. Se cambiamo abitudini cambia l’algoritmo, cambia il ritmo dell’alga, verrebbe da dire, con un orribile gioco di parole: ma questo fanno gli algoritmi, seguono come alghe le nostre caviglie e accompagnano i nostri passi. Non bisogna cambiare gli algoritmi, è necessario cambiare i passi). Sappiamo anche che Anzaldúa è difficile da smentire, tanto è precisa. Non crea dibattito, crea riflessioni, intime e collettive, ma non social, non con quei tempi.
Bene, si cambia. L’idea era di pubblicare qui il lavoro avvenuto sui social solo alla fine, ma invece iniziamo a farlo subito, perché è uno spazio più lento, più protetto, più adeguato. Continueremo l’esperimento social, ma qui avremo un porto d’approdo sicuro.
Cambiamo anche la struttura, non più casuale e determinata dalla lettura ma scadenzata. Ogni settimana ci saranno gli estratti relativi a un capitolo di Luce nell’oscurità, fino alla conclusione del libro.
Pubblicheremo anche i commenti più significativi e invitiamo nuovamente alla partecipazione.

Partiamo ricopiando i primi due post e poi andando avanti con il primo capitolo. Sarà possibile quindi, al termine del lavoro, avere una panoramica generale di Luce nell’oscurità e della discussione che speriamo possa nascere.

Crediamo infine necessario dire che il testo, nella sua versione italiana, è a cura del Gruppo Ippolita e si avvale della traduzione di Laura Scarmoncin e della consulenza culturale e traduttiva dalla lingua spagnola di Saya Mamani.


Chi è Gloria? Ella es gente, y no una sola persona – Introduzione di Elisabetta Careri

[Dal Texas all’Italia, di confini si muore, provando ad attraversare quelli geopolitici o vittime di quelli che discriminano i corpi dentro le città. Gloria E. Anzaldúa chiamerebbe questi eventi arrebatos, terremoti, traumi, sconvolgimenti personali e/o collettivi, lacerazioni che provocano “un profondo senso di perdita, dolore e vuoto, lasciando indietro sogni, speranze e obiettivi”. I traumi del colonialismo e del razzismo, gli abusi e le discriminazioni di genere, di classe e sessuali precipitano nell’oscurità chi li subisce: uno stato di angoscia e disorientamento in cui si perdono le certezze e si rimane in preda ai propri timori. Una zona liminale che Anzaldúa nomina usando un termine in nahuatl, antica lingua indigena tuttora parlata in Messico: “nepantla”. Il nepantla, letteralmente “spazio di mezzo”… ]

Commento

Parliamo di cose diverse e queste differenze vanno tenute ben salde nel ragionamento o si rischia di avere percezioni estremamente falsate della realtà, tuttavia, nel tentativo di entrare in empatia con chi nasce, vive e muore, spesso prematuramente, in condizione di estraneità e di esclusione dal sistema capitalista, bianco e patriarcale, posso pensare a cosa sia per me il trauma, ovvero alla domanda: cosa mi avvicina, seppure in maniera temporanea e non identitaria, alla condizione di sofferenza esistenziale descritta da Anzaldúa? Come faccio non tanto a capire ma a sentire?
Allora, senza scadere nell’autobiografismo, posso ripensare alle sensazioni di vuoto, di sconfitta, di rassegnazione, di inutilità provate per esempio di fronte a un fallimento conclamato.
E ancora, pur nel privilegio, dove e quando è iniziata la mia diversità esistenziale e quali zone liminali sto abitando?
(Carlo Martello)


Autohistoria incarnata. Dall’oscura intimità delle ferite all’attivismo (politico) spirituale – Prefazione di Paula Satta Di Bernardi

Dalla prefazione di Paula Satta Di Bernardi: [… il suo concetto di attivismo spirituale non è altro che un attivismo basato sull’ascolto attento, presente, sensibile e curativo del corpo. Un corpo pensato ed esperito allo stesso tempo come corpo individuale e corpo collettivo, come corpo interspecie e corpo transtemporale …] [Siamo una “ragnatela di connessioni”, ci ricorda Anzaldúa…]

E ancora, dalla stessa prefazione: [Per questo motivo, “l’imperativo Coyolxauhqui”, la metafora indigeno-corporea per descrivere il processo di ricostruzione delle ferite e d’integrazione delle parti nel tutto, è un invito a riflettere su come la colonizzazione si manifesti ogni volta che i binarismi compaiono nelle nostre vite. Il pensiero binario elimina la possibilità di vivere-vedere la “nepantla”, lo spazio di mezzo, che non è un opposto, né una contraddizione. ]

Commento

Siamo davvero, come dice Anzaldúa, una “ragnatela di connessioni” e su questo concetto, pur con parole diverse per via di una storia personale diversa, mi interrogo da tempo, perché trovo che sia semplicemente empirico notare come ogni nostro gesto e perfino ogni nostro pensiero abbiano delle conseguenze, più o meno rimarchevoli sul resto del contesto che abitiamo, sull’organismo mondo.
Spesso mi trovo a sostenere l’importanza della gentilezza nei rapporti umani e non umani e tuttavia sono consapevole di partire da una condizione caratteriale poco incline alla pazienza, per cui si tratta di operare uno sforzo continuo, passi avanti e passi indietro, una costante rivalutazione delle proprie opinioni, del proprio potere e come è ovvio, questo percorso è disseminato di fallimenti e non si concluderà mai. Il lieto fine non esiste. Il lieto fine è il percorso di fallimenti.
Se provo ad allontanarmi da queste considerazioni più personali e ad allargare lo sguardo, una serie di comportamenti collettivi e politici saltano all’occhio: penso alle condizioni esistenziali delle persone migranti – è di pochi giorni fa la notizia che tre nuovi centri di permanenza temporanea, qualsiasi cosa debba significare questa dicitura, saranno aperti in collaborazione tra Italia e Albania al di fuori di qualsiasi regola anche brutale. Noi trattiamo delle persone come oggetti, peggio che oggetti. È evidente che questo ha e avrà delle conseguenze non solo politiche in senso stretto, ovviamente, ma anche nell’equilibrio sempre più distorto del sistema mondo, che prevede anche i sentimenti. Tra le altre cose, Anzaldúa ci dice che i sentimenti sono politici. Quale benessere del mondo ci può essere se migliaia, centinaia di migliaia di persone, in tutto il mondo, sono rinchiuse ingiustamente e private dei diritti più basilari? Perché l’equilibrio dovrebbe funzionare se in definitiva non c’è?
(Carlo Martello)


Gesti del corpo – Escribiendo para idear – Premessa di Gloria E. Anzaldúa

[Lotto incessantemente con le mie stesse modalità di produzione culturale e il ruolo che ricopro in quanto artista.] […] [Quando scrivo sono cosciente di molteplici nepantlas – linguistici, geografici, di genere, sessuali, storici, culturali, politici, sociali. Il nepantla è il punto di contatto y el lugar tra i mondi – tra immaginazione ed esistenza fisica, tra realtà ordinarie e nonordinarie (spirito)]

[… Escribo para “idear” – parola in spagnolo che significa “dare forma o concepire un’idea, sviluppare una teoria, inventare e immaginare”. Il mio lavoro ha a che fare con l’interrogare, l’alterare e il trasformare i paradigmi dominanti che governano le nozioni della realtà, dell’identità, della creatività, dell’attivismo, della spiritualità, della razza, del genere, della classe e della sessualità. Per dar vita a un’epistemologia dell’immaginazione, a una psicologia dell’immagine, costruisco il mio personale sistema simbolico. …]

[… Non posso servirmi del vecchio linguaggio critico per descrivere, affrontare o contenere le nuove soggettività. Ricorrendo a metodi di rappresentazione primari (autohistoria) invece che a metodi secondari (l’interpretazione delle concezioni altrui) rifletto sugli aspetti psicologici/metodologici del mio stesso esprimermi. Vaglio le mie ferite, tocco le cicatrici, mappo la natura dei miei conflitti, canticchio a las musas (le muse) che persuado a ispirarmi, mi rintano nelle sagome assunte dall’ombra e cerco di parlare con loro.]

[Per me scrivere è un gesto del corpo, un gesto creativo, un lavorare dal di dentro.]

[Sono convinta che è attraverso la narrazione che giungi a capire te stessa e dare senso al mondo. Tramite la narrazione formuli le tue identità collocandoti inconsciamente nelle narrazioni sociali che non hai creato tu. La tua cultura ti dà la tua storia identitaria, però en un buscado rompimiento con la tradición crei una storia identitaria alternativa.]

Commento

Uno dei punti chiave mi sembra essere la questione che il nostro corpo, inteso complessivamente, con le sue stratificazioni storiche – una piccola storia personale -, influisce sul mondo circostante e ne è a sua volta trasformato. Siamo abituat* a pensare alle conseguenze che il mondo impone al corpo singolo, ma è vero anche il contrario, solo viene raccontato pochissimo, quasi mai. Questa consapevolezza è quella che poi ci porta a essere responsabili delle nostre azioni, dei nostri pensieri e dei nostri desideri. Tra le molte altre cose, mi sembra che Anzaldúa dica anche: attenzione a quello che desideri, potrebbe avverarsi!
La narrazione ci costruisce e può essere libera, nonostante le galere, reali e metaforiche, di questo mondo. Di più, la narrazione può contribuire a rendere il mondo più libero, perché contribuisce a crearlo. E il corpo è un luogo di partenza e di arrivo, è un pezzo del libro.
(Carlo Martello)


Capitolo primo
Cerchiamo di essere il balsamo della ferita
L’imperativo Coyolxauhqui – La sombra y el sueño

Ci troviamo all’indomani dell’attacco alle torri gemelle, avvenuto l’11 settembre 2001 (ndr)

[Il mio compito come artista è essere testimone di ciò che ci perseguita, fare un passo indietro, cercare di trovare una trama in questi eventi (personali e sociali) e capire come possiamo riparare el daño (il danno) servendoci dell’immaginazione e delle sue visioni. Credo nel potere trasformativo e nella medicina dell’arte. Per come la vedo io, la vera battaglia di questo paese è contro la propria ombra – il suo razzismo, la sua propensione alla violenza, la sua rapacità consumistica, l’omissione delle proprie responsabilità verso le comunità globali e l’ambiente, e l’ingiusto trattamento di chi dissente e delle persone dispossessate, soprattutto quelle di colore. Come artista mi sento obbligata a svelare il lato oscuro che i media istituzionali e il governo negano. Per cogliere qual è la nostra complicità e responsabilità dobbiamo guardare all’ombra.]

[È una disgrazia che a dare forma alla nostra identità e narrazione nazionale sia questa maggioranza che si rifiuta di ammettere che il conflitto non può essere risolto con la guerra. Negano el conocimiento (la coscienza spirituale) che fibre invisibili ci legano a ogni persona sulla terra e che le azioni di ciascuna influenzano il resto del mondo.]

[Un evento così epocale come l’11 settembre es un arrebatamiento con la fuerza de una hacha. Il don Juan di Castaneda chiamerebbe simili momenti il giorno in cui il mondo si è fermato, ma il mondo non si ferma, s’incrina. A essersi incrinata è la percezione che ne abbiamo, il modo in cui ci relazioniamo a esso, il modo in cui vi siamo coinvolte. Dopo, la realtà ci appare diversa: dalle sue rendijas (fessure) scorgiamo l’illusione di una realtà consensuale. Il mondo così come lo conosciamo “finisce”. Viviamo un cambiamento percettivo radicale, otra forma de ver.
Este choque ci sposta nel nepantla, uno spazio psicologico, liminale, a metà tra com’erano le cose in passato e un futuro ignoto.]

[Il conocimiento ci esorta a reagire non soltanto con le tradizionali pratiche della spiritualità (contemplazione, meditazione e rituali privati) o con le tecnologie dell’attivismo politico (proteste, manifestazioni e assemblee), ma con l’amalgama delle due: l’attivismo spirituale, che pure abbiamo ereditato assieme a la sombra. Il conocimiento ci spinge a impegnare lo spirito ad affrontare il nostro morbo sociale con nuovi strumenti e pratiche il cui scopo è dar vita a uno smottamento. Lo spirito-nel-mondo diviene cosciente, e noi diveniamo coscienti dello spirito nel mondo. La guarigione delle nostre ferite sfocia nella trasformazione, e la trasformazione sfocia nella guarigione delle nostre ferite.]

Commento

Lettura interessante a dir poco,.perché coinvolge, oltre il Tutto e i suoi accoliti, anche quelle parti che tendiamo a nasconderci per cultura, per assimilazione, per abitudine. Al contempo solleva interrogativi che, più che chiedere di essere detti, dato che il linguaggio ha e non ha limiti, o meglio il linguaggio li ha ma non le sue regole, chiede di agili attraverso, mi pare di capire ma dovrei leggere tutto il libro, la scrittura come strumento di conoscenza. Che poi sembra una conclusione banale, ma smette di esserlo se si accetta in toto che la sua funzione si espleti solo se interamente, non saprei come altro dirlo, vibrante, ma forse qui l’avverbio non vale meno dell’aggettivo.
(Alessio Barettini)


Capitolo secondo
Voli dell’immaginazione
Rileggere/riscrivere le realtà

[La consapevolezza non risiede soltanto nella mente, ma comprende anche la conoscenza del corpo. Tale consapevolezza risveglia una qualche memoria profonda e recondita o conoscenza perduta di epoche lontane, ricordandomi che sto compiendo qualcosa che non sapevo di sapere. Mi ricorda che sin da bambina ho intessuto un’incessante relazione con gli spiriti degli alberi e dei luoghi naturali e che posso alterare la coscienza per comunicare con loro.]

[Spirito e mente, anima e corpo sono uno, e insieme per episcono una realtà più grande della visione esperita nel mondo ordinario. So che l’universo è cosciente e che spirito e anima comunicano inviando sottili segnali a chi presta attenzione a ciò che ci circonda, agli animali, alle forza naturali e alle altre persone. Riceviamo informazioni dagli antenati e dalle antenate che abitano altri mondi. Vagliamo quelle informazioni e impariamo a fidarci di quel sapere. La mente non inventa; non fa che immaginare ciò che esiste e dire all’anima di ricordare. L’anima dimentica e i segnali della natura i cui spiriti esistono nei campi, nelle foreste, nei fiumi e in altri luoghi, così come gli arrebatamientos (eventi traumatici), devono riportarla al ricordo più e più volte.]

[Se il mondo è un costrutto e il significato è reso dalla mente e non inerisce agli oggetti, ciò vorrebbe dire che quel che conosciamo ed esperiamo è una proiezione. Cos’è reale allora?
“Pensi che gli spiriti siano reali?” mi ha chiesto un’amica. La domanda mi è stata posta molte volte e ogni volta mi riporta alla mia infanzia, quando ho appreso, osservando las curanderas de mi mamagrande, che il mondo fisico non è l’unica realtà.]

[… Ma molti e molte altre continuarono a praticare il curanderismo al fianco della medicina occidentale tradizionale. Chi di noi crede in questa pratica sa che ogni malattia ha cause psicologiche: per poter curare, dev’essere medicata l’intera persona. Sappiamo anche che esistono alcuni morbi anglo che solo la medicina occidentale può sanare. È stato soltanto pochi anni fa che chi fa ricerca accademica ha restituito ai curanderos la rispettabilità con i suoi documentari, conferendo legittimità culturale alla medicina tradizionale.]

[La chamanería è un sistema animistico, una “religione della natura”, un sistema terapeutico e una pratica spirituale personale, privata, che si concentra sulle nostre vite quotidiane – il lavoro, la gente, i luoghi, le emozioni e le esperienze individuali che compongono la nostra esistenza.

Si serve di precise tecniche per alterare la coscienza così da poter accedere a contesti spirituali celati a coloro la cui consapevolezza si concentra interamente sulla realtà ordinaria della vita quotidiana. È una “viandante tra i mondi”, che entra intenzionalmente in dimensioni che altre persone incontrano solo nei sogni e nei miti, e che riporta con sé informazioni (una ricchezza per guarire gli altri, le altre, la comunità, la terra).
Non sono il servizio o le specifiche attività che la sciamana offre alle persone a renderla tale ma il metodo con cui trae conoscenza e potere per compierli.]

[Ogni giorno, accoccolata nel letto prima di addormentarmi o dopo il risveglio, mi intrattengo in precisi luoghi immaginali. Si dipanano delle “storie” in questi mondi interiori – alcuni li costruisco consciamente o li creo con la volontà; altri affiorano dalle immagini che non originano in me e le cui storie “osservo” come farei con un film creato da un’altra persona. Chiamo queste “fantasie” “ensueños”. In simili immaginazioni elaboro i sentimenti, i traumi, le negatività frutto delle oppressioni di genere, razziali o di altro tipo, e piango le mie perdite. Queste storie – sia quelle create da me sia quelle create per me da qualcosa che mi è esteriore (anima, spirito, la coscienza dell’universo) – mi nutrono, mi guariscono in modi che non comprendo del tutto. Estos ensueños hanno una funzione guaritrice.
Adopero la parola “ensueño” in diverse accezioni: come illusione e fantasia; come un sueño que se hace realidad, un sogno che diventa realtà; come un modo per creare ponti tra la realtà del sogno e la realtà del non-sogno, e come un tipo di sogno lucido in cui si è nella piena consapevolezza (o forse persino in controllo) del processo del sognare. In gergo è un complimento dire “eres un ensueño, ovvero una persona mágica”. “Es un ensueño può anche esser detto dei viajes o lugares maraviosos.]

[Alcuni antropologi definiscono gli spiriti metafore e simboli, ritenendoli nient’altro che immagini mentali. Ma come nota la loro collega Edith Turner, quest’idea è “imperialismo intellettuale”. Stando a Turner, gli spiriti sono “manifestazioni (che) costituiscono l’apparizione deliberata di forme discernibili che hanno il consapevole intento di comunicare, di rivendicare un’importanza nelle nostre vite”.]

[Per indagare l’esperienza in un mondo indeterminato come quello che abitiamo, un mondo in cui tutto ciò che può essere immaginato può accadere, ho bisogno di una diversa modalità di raccontare storie, una modalità che possa reggere simultaneamente i differenti modelli di ciò che io credo sia la realtà. Ho bisogno di un diverso modo di organizzare la realtà.]

[Questo libro esplora la ricerca di una coscienza più vasta e di altre dimensioni della realtà sfidando le premesse di base su cui vengono edificati i nostri concetti. Discute di come potremmo sormontare i limiti della percezione, espandendola oltre i confini del corpo, mutuando la nostra coscienza e la nostra percezione dalla realtà ordinaria a una realtà altra, spirituale, magica, per entrare nei molteplici stati della realtà nonordinaria. Trasferendo la nostra coscienza possiamo muoverci da un mondo/dimensione a un altro. Se la realtà non è che la descrizione di un particolare mondo, quando avviene uno slittamento della consapevolezza dobbiamo dar vita a una nuova descrizione di ciò che viene percepito – in altre parole, creare una nuova realtà. Quando abbiamo accesso a questo tipo di universo percettivo espanso, il nostro punto di vista, la nostra identità e il nostro carattere cambiano, e non siamo più in grado di pensare il mondo come una costante.]


Capitolo terzo
Arte della frontiera
Nepantla, el lugar de la frontera

Gloria Anzaldúa si trova a visitare, il 26 settembre 1992, a Denver, presso il locale museo di storia naturale, la mostra Gli aztechi: il mondo di Montezuma. Da questa visita scaturiscono una serie di riflessioni, disponibili per intero nel volume di cui stiamo pubblicando alcuni estratti. (ndr)

[La negación sistemática de la cultura mexicana-chicana en los Estados Unidos impede su desarrollo, haciéndolo este un acto de colonizacíon. Come popolo che è stato spogliato della propria storia, della propria lingua, della propria identità e del proprio orgoglio, spesso tentiamo di ritrovare ciò che abbiamo perduto scavando immaginativamente nelle nostre radici culturali e creando arte con quel che scopriamo. Mi chiedo: “Che senso ha per me – esta jotita, questa Chicana queer, questa mexicatejana – entrare in un museo e ammirare gli oggetti indigeni un tempo usati dai miei antenati e dalle mie antenate? Incontrerò la mia identità india originaria qui, in questo luogo, tra gli artefatti antichi e il loro mestizaje?”.]

[Vengo spintonata in mezzo a una calca bianca e borghese. Guardo i video, ascolto le presentazioni con le diapositive e origlio il personale del museo illustrare tratti della mostra. Mi fa infuriare il fatto che questa gente parli come se le persone azteche e la loro cultura fossero morte da secoli quando in realtà in Messico ne sopravvivono ancora diecimila. Il museo stesso è una struttura colonizzata: mette in scena una sorta di psicosi, insinuando che l’intero popolo azteco sia morto e non abiti che la preistoria. Tutto ciò suscita in me una duplice “esserità”: percepisco i miei tratti indigeno-messicani rappresentati e al contempo avverto queste parti di me “eclissate”. Mi ricorda le ossa delle persone native americane esibite al museo di storia naturale di New York City accanto ai manufatti preistorici.]

[Per me Coyolxauhqui incarna anche la resistenza e la vitalità degli scrittori e delle scrittrici chicane/mexicane. Scorgo delle somiglianze tra la forza possente e bellicosa della dea luna e il Portrait of the Artist as the Virgin of Guadalupe (1978) di Yolanda López, che ritrae una donna chicana/mexicana mentre emerge correndo da un oval halo di raggi simili a spine, col tradizionale mantello della virgen in una mano e un serpente nell’altra. Indossa scarpe da ginnastica, ha i capelli corti e gambe nude vigorose – una donna dall’aspetto molto lesbico. Il Portrait raffigura la rinascita culturale della Chicana che lotta per liberarsi dai ruoli di genere oppressivi. La lotta e il dolore di tale rinascita trovano un ritratto eloquente anche nelle figure femminili che affiorano dalle sculture di terra e gres di Marcia Gómez, come This mother Ain’t for Sale.]

[Coyolxauhqui rappresenta il processo psichico e creativo del lacerare e del ricomporre (decostruzione/costruzione). Rappresenta la frammentazione, l’imperfezione, l’incompiutezza e le promesse disattese, così come l’integrazione, la compiutezza e l’interezza.]

[Il processo di “presa in prestito” viene reiterato sino a che i significati originari delle immagini sono sospinti nell’inconscio e affiorano immagini più rilevanti per l’epoca e la cultura dominante. Ma in qualche modo l’artista si connette ancora a quel deposito di senso inconscio, si connette a quello stato nepantla di transizione tra i tempi, si connette alla frontiera tra le culture. Gli e le artista chicane sono attualmente impegnate a “leggere” quel nepantla, quella frontiera e quel cenote – dai quali scaturiscono direzione e rinnovamento. L’immaginazione, il mundis imaginalis – la fonte della creatività, dei sogni, delle fantasie, delle intuizioni e degli eventi simbolici – risiede ne el cenote. A chi di noi è ricettiva el cenote offre le risorse dell’inconscio per la conoscenza di sé e la trasformazione. Il nepantla è la soglia della trasformazione. L’arte e la frontera s’intersecano in uno spazio liminale dove le persone di confine, soprattutto gli e le artiste, vivono in uno stato di nepantla.]

[Secondo Edward Hall sin dall’infanzia impariamo a orientarci nello spazio in un modo che è legato alla sopravvivenza e al senno. Quando ci disorientiamo da questo senso dello spazio corriamo il rischio di diventare psicotiche. Contesto tale visione. Per noi mestizas che viviamo nelle terre di confine sentirci disorientate nello spazio è il “normale” modo di essere. È il modo sano di far fronte al ritmo accelerato di questo pianeta complesso, inter-dipendente e multiculturale. Essere disorientate nello spazio è essere en nepantla. Essere disorientate nello spazio è esperire episodi di dissociazione identitaria, disfacimenti e rifacimenti identitari. La frontiera, in un costante stato nepantla, è un analogo del pianeta. Ecco perché il confine è una metafora persistente ne el arte de la frontera, un’arte che esplora tematiche quali l’identità, l’attraversamento dei confini e l’immaginario ibrido.]

[Lo stato nepantla è l’habitat naturale degli e delle artiste – più nello specifico, degli artisti mestizos di frontiera che partecipano alle tradizioni di due o più mondi o che potrebbero essere binazionali. Per questo creano un nuovo spazio artistico, una cultura della frontiera mestiza. “Diffida de el romance del mestizaje” mi colgo dire sottovoce. Puede ser una ficción. Non romanticizzare il mestizaje – non è che un’altra finzione, un modo di ordinare, comprendere o interpretare la realtà, qualcosa d’inventato, come la “cultura” o gli eventi nell’esistenza di una persona. Ma in essa io e altri scrittori/artisti, altre scrittrici/artiste de la frontera abbiamo profuso noi stesse. Il mestizaje è il cuore del nostro creare. Nel mestizaje sanguiniamo, nel mestizaje mangiamo e sudiamo e piangiamo. La Chicana, il Chicano sono sotto il più ampio ombrello mestizo.]

[Attraverso la stanza. Alcuni codici pendono dai muri. Osservo i geroglifici. Le usanze di un popolo, la sua storia e la sua cultura consegnate a una carta battuta di foglie d’agave. Tracce sbiadite di inchiostro rosso, blu e nero lasciate dalle sue artiste, dai suoi artisti, dalle sue scrittrici, scrittori, studiose e studiosi. Il passato pende al di là di un vetro. Noi, che osserviamo nel presente, continuiamo a camminare attorno alla storia inscatolata nelle teche. Mi chiedo chi ero un tempo (la chicanita del rancho completamente immersa nella cultura mexicana), mi chiedo chi sono oggi (che vivo in una città della costa californiana detta paradiso). La mia identità non fa che mutare – essere Chicana o queer o scrittrice non è abbastanza. Sono più mestiza di qualsiasi altra particolare identità. L’artista della frontiera non cessa di reinventare se stessa o se se stesso. Attraverso l’arte è capace di rileggere, reinterpretare, reimmaginare e ricostruire il presente della propria cultura, così come il suo passato.]

[Al termine del mio “tour” di cinque ore m’inoltro fuori dal museo verso il parcheggio con un piede dolorante e un turbinio di domande in testa. Mentre aspetto il taxi mi chiedo: che direzione prenderà in futuro el arte fronterizo? La multi-soggettività e la soggettività sdoppiata degli artisti e delle artiste della frontiera che creano diverse contro-arti proseguiranno con un movimento parallelo, la cui lotta principale non sarà un urto che segue le polarizzazioni noi/loro, amico/estranea: la norma sarà il rifiuto della scissione. Siamo sia nos (noi) che otras (altre) – nos/otras. L’arte genera una comunità più ampia, una comunità che trascende la cultura e il ciclo vitale dell’artista.]

[Mentre il taxi mi riporta sfrecciando all’hotel, la mia mente ripercorre immagine dopo immagine. C’è qualcosa che non va in chi e cosa sono e nei duecento “artefatti” che ho appena visto. Estraggo la mia “carta natale”. Sì, le radici culturali sono importanti, ma non sono nata a Tenochtitlan, nel remoto passato né in un villaggio azteco dei giorni nostri. Sono nata e vivo in quello spazio di mezzo, il nepantla, le terre di confine. Hay muchas razas che mi scorrono nelle vene, mescladas dentro de mi, otras culturas in cui e al di fuori di cui il mio corpo vive. Mi cuerpo vive dentro y fuera de otras culturas, e un uomo bianco che non smette di sussurrare “assimilati, così non sei abbastanza”, e mi soppesa secondo criteri bianchi. Per me essere Chicana o qualsiasi altro, singolo marcatore identitario non è abbastanza – non è il mio io intero. Non è che una delle mie molteplici identità. Assieme ad altra gente della frontiera è in questo luogo e tempo, en este tiempo y lugar, il dove e il quando aiuto a co-creare la mia identità con mi arte. Né l’arte, né l’identità di una persona sono attività del tutto volontarie. Altre forze influenzano, condizionano e plasmano i nostri desideri – tra cui l’inconscio e le forze e i residui collettivi inconsci di chi ci ha precedute, i nostri e le nostre antiche antenate.]


Capitolo quarto
Geografie dei sé – Reimmaginare l’identità
Nos/otras (Noi/altre), las nepantleras e il nuovo tribalismo

[Le definizioni identitarie convenzionali, tradizionali, sono imbrigliate nei binarismi, intrappolate in jaulas (gabbie) che limitano l’evoluzione delle nostre vite individuali e collettive. Abbiamo bisogno di nuovi termini e di marcatori aperti che ci ritraggano in tutte le nostre complessità e potenzialità. Quando penso al “muovermi” da un corpo sessuato, razzializzato, verso una più ampia identità interconnessa a ciò che la circonda, l’occhio interiore mi fa scorgere alberi con radici intrecciate (ragnatele del sottosuolo). Da bambina percepivo una parentela con un più grande mesquite.]

[Lottare con una “storia” (un concetto o una teoria), abbracciare un’identità personale e sociale, è un’attività corporea. Il racconto s’imbastisce nei miei corpi fisici, emotivi e spirituali, che emergono e sono filtrati dai mondi naturali, spirituali, che mi attorniano. Tengo una ancia como la de “la semilla ciega/que perdío el rumbo de la luz”. La natura è il mio conforto; permette alla mia immaginazione di risvegliarsi. Il mare, il vento, gli alberi evocano immagini, sentimenti, pensieri che riconosco come sacri. Se sono ricettiva, un nuovo conocimiento/intuizione belenerà nelle crepe dell’inconscio, ciò che io chiamo el cenote, la noria interior, un deposito sotterraneo di conoscenza personale e collettiva. Il suo emergere provoca una nuova lucidità, ispirandomi a formulare idee capaci di trasformare la mia esistenza quotidiana.
Ogni passaggio in direzione dell’oceano, verso il mio albero preferito, ciò che chiamo l’albero de la Virgen. Di solito lo avvolgo con le braccia e ci facciamo una “plastica” (chiacchierata), ma stavolta mi siedo a cavalcioni e mi protendo sulle radici bitorzolute e sporgenti de la Virgen che, sode come il dorso di un cavallo, assorbono l’energia dell’albero, legandomi a lui. Al espíritu del árbol prego per evere forza, energia e lucidità per nutrire esto trabajo artistico. In cambio le hago una promesa: offrirgli un milagrito.]

[Nel fusto de mi árbol de la vida innesto un nuovo tribalismo. Questo nuovo tribalismo, come altre nuove narrazioni chicane/latine, riconosce che siamo parte responsabile degli ecosistemi (un insieme completo di interrelazioni tra un reticolo di organismi viventi e i loro habitat fisici) nella cui ragnatela noi siamo singoli filamenti.]

[L’identità è relazionale. Chi e cosa siamo dipende da ciò che ci circonda, un miscuglio d’interazioni con i nostri alrededores/dintorni, con nuove e vecchie narrazioni. L’identità è stratificata, si dispiega in tutte le direzioni, dal passato al presente, in verticale e in orizzontale, cronologicamente e nello spazio. I movimenti in massa delle persone tra quartieri, stati paesi e continenti, così come la connessione istantanea tramite i satelliti, Internet e i telefoni cellulari ci rendono più consapevoli l’una dell’altra e legate tra noi. Ben presto la nostra coscienza raggiungerà altri pianeti, sistemi solari, galassie. Raffigurato come un modello diagrammatico, l’universo è una ragnatela – connessioni profondamente intrecciate di tutte le cose viventi passate, presenti e future che contengono forze sia positive sia negative.]

[Vedo la Raza come un insieme di attitudini, di aspettative senza limiti geografici. Il terreno, i piani (e le piane) dell’identità si alterano quando una persona si muove (immigra) in un’altra comunità o in un altro posizionamento sociale. Si finisce a vivere in un ambiente fisico e psichico diverso, mentre si conserva la precedente cultura e posizione “natale”.]

[Le mestizas non si adattano alla norma. A seconda del grado di ibridazione culturale, siamo intrappolate tra le culture e possiamo essere al contempo insider, outsider e altre-sider.]

[Nel possedere più di un retaggio le persone di razza mista sono di frequente costrette a scegliere una tribù a discapito di un’altra o ad aderire a standard etnici spesso contraddittori, come l’essere troppo o non abbastanza messicana. Chi si rifiuta di schierarsi e identificarsi con un unico gruppo importuna la maggioranza sconvolgendo il discorso razziale dominante, proprio come le persone bisessuali perturbano quello sessuale e le persone transessuali scompigliano quello del genere.]

[Questo potrebbe essere il nostro momento storico, in cui chiariamo qual è la visione, l’intento collettivo e personale, trascendendo la dicotomia “noi” contro di “loro” instillata dalla società o dalla psicologia. I nostri passi ci hanno condotte sulla soglia di una grande comprensione e di un grande risveglio culturali, del dedicarci a, de entregarnos a, las nuevas concepciones acerca de identidad.]

[In questo momento il chi-noi-siamo sta subendo una disintegrazione e una ricostruzione: è dissolto, smembrato e poi ricomposto – un processo che mi immagino simbolizzato da Coyolxauhqui.]

[L’identità è una storia che non ha fine, una storia che muta a ogni racconto, una storia che rivisitiamo a ogni tappa, a ogni sosta del nostro viaje de la vida (viaggio della vita). Sebbene le parole per ogni componente identitaria usate da ciascuna generazione, ciascun gruppo latino, ciascun individuo siano forse identiche, le definizioni possono essere leggermente diverse. Concetti quali l’io, la cultura, la razza, l’ibridismo, il mestizaje e la spiritualità si sono fatti più sfumati. Dobbiamo sfidare le attuali nozioni, creando cornici che suturino gli strappi che ci dividono e ci uniscano in un susseguirsi di ragnatele (telarañas) interconnesse.]

[Forse il punto non è andare oltre una ricerca nazionalistica delle radici indigene, ma piuttosto imbarcarsi in un lavoro trasformativo che induca e faciliti l’evoluzione come gruppo sociale, il diventare una tribù estesa e lo sviluppo di un nuovo tribalismo.]

[Il futuro appartiene a chi coltiva la ricettività culturale alle differenze e si serve di questa capacità per forgiare una coscienza ibrida che trascende la mentalità del “noi” contro di “loro” e ci condurrà a una posizione nos/otras colmando gli estremi delle nostre realtà culturali, una soggettività che non polarizza le possibili alleanze.]

[Siamo tutte filamenti di energia connessi l’uno all’altro nella ragnatela dell’esistenza. I nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre esperienze influenzano le altre persone attraverso questa ragnatela energetica. Il nostro senso pervasivo, eccessivo, di essere state ferite ci spinge a erigere barriere che creano nodi nella ragnatela e impediscono la comunicazione. Quando il conflitto (come un sasso lanciato sulla ragnatela) compromette il senso di connessione, las nepantleras invocano la facoltà “connessionista” o crea-ragnatele, una facoltà dai pensieri meno strutturati, dalle categorie meno rigide e dai confini più sfumati che ci permette di immaginare – mediante il sogno e la creatività artistica – somiglianze invece di separazioni.]

[Il nuovo tribalismo ha a che fare con l’essere parte senza venir mai sussunte da un gruppo, senza mai perdere l’individualità in favore del gruppo né perdere il gruppo in favore dell’individualità. Il nuovo tribalismo ha a che fare con il lavorare assieme per dar vita a nuove “storie” identitarie e culturali, per immaginare futuri differenti. Ha a che fare con il ripensamento delle nostre narrazioni della storia, della genealogia e persino della realtà stessa.]

[Viviamo nell’incessante risucchio dei remolinos – vortici fatti di idee inedite, cambiamenti tecnologici, informazioni da era cibernetica, nuovi sistemi di classe, nuove comunità – che pretendono la nostra attenzione. Estos remolinos ci avviluppano e ci fanno approdare in luoghi differenti, costringendoci a mutare valori, convinzioni, percezioni e miti. I frammenti e i pezzi frullati e risucchiati nel vortice culturale danno vita a un ibridismo estremo. Dobbiamo elaborare il “cambio”/cambiamento alla svelta, e i nostri figli e le nostre figlie dovranno farlo persino più in fretta. Proprio ora il chi-noi-siamo sta attraversando il processo Coyolxauhqui di disintegrazione e ricostruzione. Il nostro trabajo è capire come, in questo offuscamento delle frontiere, una persona conserva la propria identità culturale.]

[Coerente con i passi compiuti ciascuna di noi, da sola e come gruppo, affronta il lavoro interiore/esteriore della guarigione, rimuovendo e riscrivendo le inscrizioni negative. Attivismo vuol dire impegnarsi nel lavoro di guarigione. Significa mettere le mani nell’impasto e non solamente pensare o parlare del fare tortillas. Significa creare spazi e tempi perché la guarigione avvenga, espacios y tiempos per nutrire l’anima. La preghiera meditativa, un lavoro dell’immaginazione e una potente forza generativa e trasformativa, spesso accompagna ogni passaggio di questo processo. È frustrante quando la guarigione non avviene subito. Alcune di noi scelgono di rallentarne il lavoro o scelgono di non guarire perché ci sentiamo a casa e comode nelle nostre ferite. Forse temiamo che, se guariamo, tutta la nostra vita possa cambiare. E lo farà. La paura ci trattiene. Temiamo che l’impoteramento che potremmo ottenere se raccogliamo e vinciamo la sfida ci obbligherà a lasciar andare ciò che ci circonda, le persone a noi care e le situazioni che ci disimpoterano perché non ne abbiamo più bisogno.]

[Molti attivisti e attiviste credono che il lavoro spirituale non sia una forma di militanza ma una scappatoia. Ma questa visione è troppo limitata e ignora lo sguardo d’insieme. Come fanno quelle di noi che faticano negli ambienti intricati di un’accademia indifferente e persino ostile allo spirito a trasformare il proprio impegno professionale in una forma di pratica spirituale? Facendo confluire il lavoro intellettuale e il lavoro spirituale in un attivismo spirituale. Dobbiamo creare una pratica contemplativa nelle routine quotidiane della vita accademica e professionale. La contemplazione ci permette di elaborare e sbrogliare la rabbia e la frustrazione; ci offre il tempo per l’io, il tempo per lasciare che affiori la compassione. La compasión es una conversación sostenida. In breve, nella vita abbiamo bisogno di un orientamento spirituale.]

[Abbiamo bisogno di nepantleras la cui forza risiede nella nostra capacità di mediare e andare oltre le identità e i posizionamenti. Necesitamos nepantleras che ci ispirano a compiere la traversata oltre le frontiere della razza e altri confini. Per diventare nepantleras dobbiamo scegliere di occupare spazi intermedi tra i mondi, scegliere di muoverci tra i mondi come le antiche sciamane che scelgono di costruire ponti tra i mondi, scegliere di parlare dalle crepe tra i mondi, da las rendijas (strappi). Dobbiamo scegliere di vedere attraverso le falle nella realtà, scegliere di percepire le cose da molteplici angolature. L’atto di vedere le falle nei nostri condizionamenti culturali ci può aiutare a svincolarci dall’eccessiva identificazione con le identità personali e culturali tramandate sia dai nostri stessi gruppi sia dalla cultura dominante, per respingere i loro valori e stili di vita tossici.]


Capitolo quinto
Mettere insieme Coyolxauqui
Un processo creativo

[Come sempre, quando accogli una chiamata per la prima volta, qualcosa in te tracima e si espande, ansioso di essere appagato. Credi di poter fare di tutto se non lasci nulla di intentato. Benedetta e maledetta da la llamada, anticipi il piacere di servirti delle tue abilità e del tuo talento e al contempo vacilli di fronte al pegno che pretenderà. Strutturare vissuti ed emozioni mediante il linguaggio rende la vita sopportabile, significativa; ti permette di eludere la tua condizione grazie alla fantasia, ma solo per ritrovarti a fare i conti con la condizione che stai tentando di eludere. Mappare le diverse terra incognitae con i loro oscuri abitanti interiori ti rende capace di evolvere e crescere, ma solo dopo averti costretta ad affrontare una prova. Dar vita a teorie di processi quasi inconsci va ser un jale bruto.]

[Sii realistica, ti ammonisci. Se troverai il compito troppo arduo per concluderlo entro la scadenza, ti porterai appresso il peso del fallimento, il senso di colpa per un’occasione mancata. Ricorda i demoni che tentano sempre di ostacolarti prima del traguardo. Ma ancor di più, ricorda che una scrittrice deve scrivere; ricorda chi ti legge e attende un nuovo lavoro.]

[Alcune cose andranno storte – así es la vida. Avrai bisogno di un piano di emergenza per far fronte alle spirali di stress, inquietudine, depressione che ti crei da sola e per gli ostacoli che sono parte del tuo processo.]

[Dovrai scaricare lo stress prendendoti una pausa e coccolandoti – concedendoti il permesso di oziare, le tue comidas preferite, di evadere tra le copertine di un thriller. Dovrai concentrarti sul piacere che lo scrivere ti offre e su ciò che ti motiva. E se il tuo processo quotidiano non ti consente di finire e avere comunque una vita, dovrai creare un’altra tabella di marcia.
Possiedi idee smodate, irrealistiche su quanto puoi compiere in un giorno, quindi raddoppi il tempo che credi il progetto richiederà.]

[Ora sei una gallina culeca che siede sulle sue uova. Cominci a covare. Nutri l’idea ignorandola, siedi sulle tue uova sino a che la tensione non implora di essere sciolta in parole.]

[Sognando da sveglia ti addentri, ascolti e osservi; presti attenzione all’immaginale con lo scopo di tradurlo sulla carta.]

[Il mattino seguente rimani a letto. A occhi chiusi, giaci quieta. Con le coperte e i cuscini crei un utero-grotta notturno, supplicando la luna perché tenga a bada la luce del giorno. Lei solleva il velo tra il mondo interiore e il mondo esteriore e tu compi la traversata. Protetta dall’oscurità, discendi nella grotta sotterranea calda e vellutata. Rigagnoli d’acqua ti fluiscono attorno, vorticando, gorgogliando. Affiorano immagini accompagnate da sensazioni così effimere che se non presti attenzione non si faranno cogliere. Se ti sfuggono ne sogni altre sul momento, un’immagine che ne genera un’altra. Il ricordo visuale, aurale o olfattivo di qualche banale incidente scatena un flusso di visioni. Eventi subliminali nel tuo corpo o sensazioni provocate dai suoi organi compaiono e scompaiono come un pesce che guizza, lasciando dietro di sé un bagliore della conoscenza de el cuerpo. A volte un dramma in technicolor – completo di scenografia, dialoghi, azione e colonna sonora – si srotola da el cenote.
Le immagini turbinano per ore. Presto, però, dovrai abbandonare il teatro cavernoso dei sogni per cominciare il lavoro del loro deciframento, scavandole alla ricerca di ciò che significano simbolicamente e rendendole manifeste nel linguaggio. Le metti en la lolla (calderone) della tua historia e lasci che cuociano.

Non appena ti svegli l’urgenza che ben conosci è lì: devo scrivere o meno? Sì, no, forse. Trascini il corpo fuori dal letto, ti pungi il dito e spremi una goccia di sangue nel glucometro. Ti inietti l’insulina nella pancia, mangi, esci per una passeggiata. Ti concentri sui piedi che toccano il terreno, le distese azzurre del cielo, il boato delle onde che s’infrangono, l’odore pungente del guano.]

[Una parte di te vuole scrivere e una parte di te non vuole – c’è sempre un conflitto in merito a quale te guida la scrittura. La parte che rappresenta gli obiettivi interiorizzati e uno standard personale di perfezione ha piani grandiosi per la tua carriera, pretende che la storia sia un’opera d’arte. Il tuo spirito dispotico e autoritario esige che tu applichi disciplina e forza di volontà; esige che tu produca e sia efficiente. Alla parte ribelle non piace essere costretta e si oppone del tutto alla disciplina. Odia le scadenze e le ferree routine approntate per ore precise e, se lasciata sola, saboterà l’orologio. La tua lotta per trovare una metodologia, un modo di lavorare, è incessante. Bilanciare questi aspetti dello spirito non è facile. Scrivere è come estrarti chilometri di viscere dalla bocca.]

[A veces pierdes el nervio, y Saca Vueltas ti invoglia a essere vigliacca e a procrastinare, a studiare e a fare più ricerche o a lavorare a un’altra storia. Dopo tutto, scrivere non è soltanto l’atto fisico del redigere e revisionare. Comporta anche nutrire le muse di libri sulla mitologia e il nagualismo azteco (sciamanesimo), leggere con voracità in ogni disciplina e prendere appunti. Scrivere comporta anche visualizzare e concettualizzare l’opera e trasporre la storia in una realtà virtuale mediante il sogno.]

[Lo stile solleva le questioni della lealtà e dell’etica. Ti chiedi se stai inconsapevolmente riproducendo l’ideologia dominante assieme alle sue convenzioni letterarie. Soppesi i vantaggi e gli svantaggi dell’usare una retorica diversa dalle pratiche egemoni, di mescolare uno stile discorsivo con uno poetico.
In questo momento la tua apprensione è prematura. Perlopiù una historia sceglie la propria forma e il proprio stile senza che tu li controlli consciamente. Il tuo compito è ostacolare l’insistenza dell’ego affinché tu scriva “meglio”, affinché tu ti serva di una metodologia della testa.]

[Oltre a essere piacevole, il lavoro del buttar giù parole suscita un proprio tipo di trance; l’atto fisico della scrittura è un altro genere di sognare. Una volta preso un ritmo di lavoro odi interromperlo o abbandonarlo. Com’era prevedibile, dovevi farti l’iniezione di insulina ore fa.]

[Ascolti la pioggia cadere, la pompa del pozzetto risucchiare l’acqua dal cortile sul retro, il ronzio del computer. Fissi l’effige della tua naguala incorniciata sul muro, con la mente ritorni a quando ventitré anni fa il tuo comadre queer Randy ha dipinto un tuo ritratto. Ogni pochi minuti ti inclinava la testa. Strizzando gli occhi guardava il tuo volto e poi il blocchetto da disegno. Quando ha finito, ti sei alzata e hai sbirciato oltre la sua spalla. Sembrava una sorta di umano-animale dalle piume di pelliccia – proprio come ti eri vista allo specchio ogni volta che avevi lasciato cadere un po’ di polvere d’angelo. Come faceva a saperlo? Nella maschera ha fatto due fori per gli occhi e legato due pezzi d’elastico da un orecchio all’altro. Da brandelli e lembi di stoffa ha creato un costume. Quella notte di Halloween eri al contempo l’animale che c’è in te e il tuo animale da compagnia, te stessa e l’altra – naguala. Ti sei sentita potente, oltremondana e a conoscenza di un sapere segreto. Per la prima volta ti sei percepita a casa nel tuo corpo.]

[Dove avviene il lavoro della naguala? Nel corpo. Tutte le emozioni e le idee vi passano attraverso; scrivere non è altro che un atto corporeo. Un’immagine produce una reazione fisiologica esperita in sentimenti intensi (desiderio, odio, paura) e si manifesta in cambiamenti fisici neuromuscolari, respiratori, cardiovascolari, ormonali e così via. In altre parole, un’immagine produce un’emozione. Non puoi provare un’emozione senza un’immagine sensoriale che le corrisponda – e viceversa. L’inconscio e il corpo fisico non distinguono tra ciò che sta realmente accadendo e ciò che è immaginato o concepito.]

[Tenendo la nuova copia tra le mani la sfogli ulteriormente, fai la tua prima lettura da cima a fondo e ancora un altro rimaneggiamento di parti. Mentre introduci alcuni cambiamenti le luci del tuo studio lampeggiano e poi si spengono. Guardi fuori dalla finestra. La pioggia cade torrenziale; il vento sferza gli alberi. Vai di stanza in stanza a controllare le imposte, poi aspetti che l’elettricità ritorni.
Stasera ha un appuntamento con Irene, una delle tue comadres di scrittura. Andate in un caffè locale, scegliete un tavolo vicino a una presa di corrente e collegate i computer. Discutete i vostri progetti e vi incoraggiate a vicenda. Prima di andarvene decidete cosa farete domani, dando al vostro inconscio qualcosa su cui lavorare. Il giorno dopo transiterai nella scrittura senza doverla mettere in moto a freddo.]

[Il giorno dopo leggi la prima bozza per scoprire dall’oggi al domani che è diventata un mostro simile a Frankenstein. La Coyolxauhqui che riassembli è una figura grottesca con braccia che le spuntano dalla schiena e il teschio che le pende tra le gambe. Al posto delle ginocchia ha cavità oculari. Ti strappi i capelli e ringhi allo schermo. Dovrai smontare il testo osso per osso, attraversare di nuovo uno smembramento psichico, volare via, implodere, andare in pezzi ancora una volta. Questo stadio della scrittura risulta violento y siempre te desmadra.]

[Durante l’intera fase di stesura della bozza, componiendo y des-componiendo, vivi uno stato di estremo malessere. Per ridurre la pressione intollerabile ricordi a te stessa che la confusione è un passaggio necessario della creazione, che il disequilibrio provocato dalla disorganizzazione e dal caos ti obbliga a usare la tua immaginazione per correggerlo e scrivere in un ordine migliore. Stai cercando di insegnare a te stessa, nelle parole di Clarice Lispector, “a sopportare il frustrante disagio del disordine”.]

[Guardi al tono e ti chiedi: riflette ciò che provo rispetto al mio processo di scrittura? Questa storia è più di un mero resoconto personale di tale processo – ovvero, l’ho posta nel contesto del mondo e di alcune sue realtà sociali, politiche?]

[Leggere la decima bozza è come camminare su di un campo di ossa morte e alle frasi monotone, goffe, sussulti. La cosa suona vuota, il battito del cuore ammutolito dal legno secco. Non c’è neppure un alito di poesia qui dentro. La modalità narrativa e la voce in prima persona mettono troppo del tuo ego nel testo. Non solo la storia non dice nulla di nuovo; lo dice male. Más claro canta el gallo. E peggio ancora, non coinvolge chi legge a livello emotivo. I dubbi sulla tua capacità di farcela entro la scadenza (una scadenza posticipata mesi fa) ti rodono le viscere come ratti.]

[Più il tempo scorre, più la resistenza e il timore acuiscono la tensione. Più la storia resta intonsa sulla scrivania, più ansia provi. Ricorri ad alcune delle tue strategie anti-blocco: i respiri profondi, cantare il tuo mantra. Ti servi di tutto quel che puoi agguantare come di un ariete contro il masso granitico della paralisi. No le hace, niente funziona.
Ogni giorno diventa sempre più difficile restare radicata nella realtà del calendario e dell’orologio.]

[Oggi estas cansada; sei troppo stanca per affrontare la tua criatura imperfetta.
Ammettilo: te ne sei disinnamorata, non la sopporti più. Ributti il testo sul tavolo sentendoti sollevata per averci rinunciato, liberandoti del lavoro e mettendolo da parte a tempo indefinito. Seppellendolo in profondità speri che sarà il tuo inconscio a occuparsi dell’integrazione. Nel buco nero della depressione, sofocando gritos como una llorona che piange la sua perdita, seppellisci anche te stessa lontano dalla società come le persone impure o decedute. Per giorni ti crogioli nella depressione abbuffandoti di letture.]

[Parlare di scrittura con le tue comadres e ricevere riscontri incoraggianti riafferma sempre te e il trabajo. Ti affidi a loro perché ti indichino cosa funziona e cosa no, perché ti aiutino a dire quel che stai cercando di esprimere e perché ti facciano tenere il passo. Scrivere è un atto di creazione condiviso, un atto dell’immaginazione tanto per chi scrive quanto per chi legge.]

[Il blocco è la lotta che garantisce un significato anche nel fallimento. Quando inizi un nuovo progetto vuoi scrivere in modo indolore, rapido, vuoi produrre un buon lavoro. Quando ciò non avviene entro la scadenza ti convinci di essere bloccata. Se sei tu ad aver inventato questo blocco, puoi disinventarlo.
Il sollievo ti scorre nel corpo.
Per demolire il blocco devi cambiare il tuo comportamento. Per cambiare il tuo comportamento devi cambiare la tua attitudine. Per cambiare la tua attitudine devi cambiare idee basilari su di te, le tue abitudini di scrittura e la tua capacità di lavorare. Per avverare questi cambiamenti devi essere consapevole: quale nozione della scrittura o di questa fase particolare ti sta frenando? Il fatto che dovresti esser capace di sfornare simili historias più in fretta? Questo è il tuo mostro – il mito che la vera scrittura riesce perfetta in un paio di bozze.
Sai che per sbloccarti qualcosa deve cedere, qualcosa deve morire – la tua ambizione, la tua ossessione per la perfezione. Devi lasciare andare l’illusione secondo cui chi scrive esercita un pieno controllo sul proprio processo di scrittura.]

[Non appena affronti il primo paragrafo il nepantla si attiva. Il nepantla, come facoltà sincretica, osserva l’inconscio lottare tra varie letture possibili. Trova e riconosce ciò che sta bene insieme e facilita l’interazione tra l’ambiguità e il controllo, tra la confusione indistinta e la chiarezza definita.
Una scena attrae un frammento che a sua volta ne attrae un altro che corrisponde alla sua eco. Rilavori il materiale sino a quando l’allineamento e l’equilibrio non avvengono. Poi tenti di far sì che ogni sezione si saldi in sincronia con ogni altra, che si serri e vibri con il ritmo di sottofondo dell’intero pezzo. Quando diventa una cosa animata, vivente, comiensa a bailar – comincia a ballare. Qualcosa di vivo è ben più di una configurazione di componenti in un tutto – le cose viventi continuano a svilupparsi e a evolversi.
Ciò che hai imparato dal tuo corpo e dalla tua malattia cronica e che puoi applicare al processo creativo è che il cambiamento in una parte o organo innesca aggiustamenti in tutte le altre. Una piccola modifica causa riverberi in tutto il testo.]


Capitolo sesto
ora facci mutare… conocimiento… lavoro interiore, atti pubblici

[Interroghi le dottrine che rivendicano di essere il solo giusto modo di vivere. Queste vie non soddisfano più la persona che sei o la vita che stai vivendo. Non ti sono più d’aiuto col tuo compito fondamentale: stabilire cosa significa la tua esistenza, cogliere un barlume dell’ordine cosmico e il posto che occupi in quella cosmovision, e tradurre tutto ciò in forme artistiche.]

[Nella crepa del passaggio tra i millenni tu e il resto dell’umanità state attraversando trasformazioni e slittamenti di percezione profondi. Tutto, incluso il pianeta e ogni specie, è intrappolato tra le culture e le sbavature tra mondi differenti – ciascuno con la propria visione della realtà.]

[Ci troviamo su di una soglia cruciale nell’estensione della coscienza, intrappolate nei remolinos (vortici) di un mutamento sistemico che attraversa ogni campo della conoscenza. I binarismi colorato/bianco, femmina/maschio, mente/corpo stanno collassando. Se vivi nel nepantla, lo spazio sovrapposto tra differenti percezioni e sistemi di certezze, sei consapevole della mutevolezza delle categorie razziali, di genere, sessuali e d’altro tipo che rende obsolete le etichette convenzionali.]

[Chi possiede il conocimiento si rifiuta di accettare che la spiritualità sia una forma svalutata di conoscenza e invece la eleva sullo stesso piano occupato dalla scienza e dalla razionalità. Il conocimiento, un tipo di ricerca spirituale, è raggiunto mediante gli atti artistici – la scrittura, l’arte, il ballo, la guarigione, l’insegnamento, la meditazione e l’attivismo spirituale – sia mentali sia somatici (anche il corpo è una forma così come un luogo di creatività). Grazie all’impegno creativo inglobi le tue esperienze in una cornice di riferimento più vasta, connettendo le tue lotte personali a quelle di altri esseri sul pianeta, alle lotte della Terra stessa. Per comprendere la più ampia realtà che si cela dietro le tue personali percezioni, consideri queste lotte imprese spirituali. L’identità che possiedi è uno schermo filtrante che limita la tua consapevolezza a una frazione della realtà. Quel che i tuoi occhi, le tue orecchie e gli altri tuoi sensi fisici percepiscono non è il quadro generale ma un quadro determinato dalle tue convinzioni basilari e dagli assunti sociali prevalenti. Ciò che vivi e la conoscenza che inferisci dall’esperienza sono soggettivi. Il sapere intuitivo, non mediato dai costrutti mentali – quel che ti dicono le viscere, l’occhio e il cuore interiori – è quanto di più vicino alla conoscenza diretta (gnosi) del mondo tu possa raggiungere, e anche questa esperienza della realtà è parziale.]

[La mano dell’aggressore ti strozza la gola. Annaspando per respirare, strilli degli iiiih simili a miagolii. Lo scalci e lo graffi mentre ti trascina sul ponte di Waller Creek. Ti strattona contro la ringhiera. Con il cuore in gola guardi in basso le rocce umide lambite dal torrente che gorgoglia. Se ti scaraventa dal ponte le ossa ti si spezzeranno, forse il collo. Alla fine ti strappa di dosso la borsa e schizza via. La rabbia ti pulsa dentro. Afferri una grossa pietra e lo rincorri. Sei sopravvissuta a este arrebato e assisti alla sua cattura, ma ogni notte, per mesi, quando sei al sicuro nel tuo letto, il suo ringhio ti riecheggia nella testa: “Ti prenderò, stronza”. Dei passi alle tue spalle, i movimenti improvvisi della gente ti tolgono il respiro, e il corpo reagisce come se lui ti stesse aggredendo ancora. Il tuo rapporto col mondo è irrevocabilmente mutato: sei consapevole della tua vulnerabilità, guardinga con gli uomini e non ti fidi più dell’universo.]

[Ogni arrebato – un’aggressione violenta, una rottura con una persona amata, una malattia, una morte in famiglia, un tradimento, il razzismo sistemico e la marginalizzazione – ti strappa alla “casa” consueta, cacciandoti dal tuo Eden personale, dimostrandoti che nel tuo regno manca qualcosa. Cada arrebatada (lacerazione) capovolge il tuo mondo e crepa i muri della tua realtà, causando un profondo senso di perdita, dolore e vuoto, lasciando indietro sogni, speranze e obiettivi. Non sei più chi eri solita essere. Mentre vai oltre i tuoi vecchi presupposti e punti di riferimento, liberandoti dei precedenti posizionamenti, ti senti come un’orfana, abbandonata da tutto ciò che è familiare. Esposta, nuda, disorientata, ferita, incerta, confusa e combattuta sei costretta a vivere en la orilla – un’affilata lama di rasoio che ti squarcia.]

[Cada arrebatamiento è un risveglio che ti spinge a mettere in discussione chi sei, cosa significa il mondo. L’assoluta necessità di capire quel che stai vivendo risveglia la facultad, la capacità di spostare l’attenzione e vedere attraverso la superficie delle cose e delle circostanze.
Con ogni arrebatamiento patisci un “susto”, uno shock che ti scaraventa l’anima fuori dal corpo, causando uno straniamento. Con la perdita di ciò che è familiare e l’ignoto di fronte, lotti per riconquistare un equilibrio, reintegrare te stessa (mettere insieme Coyolxauhqui) e riparare il danno. Devi, come la sciamana, trovare un modo di richiamare a casa il tuo spirito. Ogni parossismo ha il potenziale di iniziarti a qualcosa di nuovo, offrendoti la possibilità di ricostruirti, obbligandoti a correggere la tua descrizione dell’io, del mondo e del posto che vi occupi (la realtà).]

[C’è soltanto un’altra Chicana nel tuo programma di dottorato all’Università del Texas ad Austin, in uno stato fortemente popolato di Chicani, e non vi ritrovate mai nella stessa classe. Alle insegnanti non piace la pratica del porre te stessa nel testo e insisstono che i tuoi saggi sono troppo soggettivi. Disapprovano le tue prospettive poco ortodosse e i tuoi modi di pensare. Ti bocciano il tema della dissertazione, dichiarando la letteratura chicana illeggittima e la teoria femminista eccessivamente radicale.]

[Strattonata tra diverse realtà ti senti lacerata tra le vie “bianche” e le vie messicane, tra i nazionalisti chicani e gli ispanici conservatori. Sospesa tra i valori tradizionali e le idee femministe non sai se assimilarti, separarti o isolarti.]

[Restare despierta diventa un mezzo di sopravvivenza. Scarabocchi nel diario l’immagine di una donna con due teste e due facce, una cara di profilo e l’altra che guarda in avanti. La patlache bifronte del tuo retaggio indigeno queer è anche il simbolo de la otra tu, il corpo duplice o di sogno (il corpo energetico). La naguala ti connette a queste alterità e a forze inconsce e invisibili.]

[La scorsa notte i crampi alle gambe ti hanno fatta sobbalzare e svegliare ogni pochi minuti. Persino il più lieve tocco del lenzuolo ti bruciava gambe e piedi. Finalmente ti sei addormentata, solo per venir strappata ai sogni da un ipo, un episodio ipoglicemico – troppi pochi zuccheri nel sangue. Con il cuore che pestava, grondante di sudore, confusa, non riuscivi a ricordare cosa fare. Sbandando da una parte all’altra sei barcollata fino alla cucina e hai ingurgitato del succo d’arancia con due cucchiaini di zucchero. Il pensiero che una notte continuerai a dormire durante un ipo e cadrai in coma te espanta.
Ora ti afflosci contro il parapetto del ponte e fissi in basso i binari ferroviari. Deglutisci, assaggiando la paura della tua stessa morte. Non puoi più negare la tua caducità, non puoi più fuggire nella tua testa – la malattia che hai in corpo ha preso casa in tutti i tuoi pensieri, catapultandoti nello stato Coatlicue, la terza fase infernale del tuo viaggio.]

[Battendoti il petto come un’eroina gotica esplodi nella teatralità melodrammatica della vittima. Spinta alla deriva da tutto ciò che è familiare ti rannicchi nel fondo dell’utero caverna, una pietra che scaccia la luce. Nel vuoto del tuo stesso nulla giaci in un bozzolo fetale stringendo i pezzi e le parti frammentate di te che hai rinnegato. Mentre ascolti le onde lontane schiaffeggiare le scogliere, la tua bestia oscura riaffiora dal suo angolo buio e ti monta, punendoti con l’isolamento. Eres cuentista con manos amarradas, poeta sin saliva sin palabra sin pluma. Escondida en tu cueva no puedes levantar cabeza, estás cansada y decepcionada. Los días vuelan come hojas en el viento. Pipistrelli trafitti ti infestano i sogni e nuvole nere ti attraversano l’anima come ombre. Ti crogioli nelle rovine della tua vita – pobre de ti – fino a che non riesci più a sopportare il tanfo che sei.]

[Di ritorno sul ponte di legno il vento cambia direzione, frustandoti via i capelli dagli occhi. Il gemito della Llorona si leva, esortandoti a prestare attenzione. Tutti e sette gli ojos de luz lampeggiano “acceso”.]

[Non puoi cambiare la realtà, ma puoi cambiare la tua attitudine in merito, l’interpretazione che ne dai. Se non puoi liberarti della malattia, devi imparare a conviverci. Come cambia la tua percezione, cambiano le tue emozioni – acquisisci una nuova comprensione dei tuoi sentimenti negativi. Nell’intendere i tuoi sintomi non come segno di debolezza e disintegrazione ma come segnali di crescita, sei in grado di risorgere dal lento suicidio della depressione. Servendoti di questi sentimenti come di strumenti o granaglie per il mulino attraversi la paura, l’ansia e la rabbia, ed erompi in una nuova realtà. Ma trasformare le emozioni consuete è la cosa più difficile che tu abbia mai cercato di fare.]

[Durante la fase Coatlicue ha creduto di esserti persa e allontanata dalla via del conocimiento, ma una simile deviazione è parte del cammino. Il tuo corpomenteanima è il recipiente ermetico in cui avviene la trasformazione. Lo slittamento deve essere ben più che intellettuale. Sfuggendo all’illusione dell’isolamento ti pungoli a uscire dal letto, pulire la casa, poi te stessa. Accendi la candela e il copal de la Virgen de Guadalupe e, con un fascio di yierbitas (ruda y yerba buena), ti spennelli il corpo di fumo, spazzando via il dolore, il lutto e la paura del passato che ti ha perseguitata, recidendo le corde ti ci tengono stretta.
Comprendi che hai reciso la mente dal corpo e invertito la dicotomia – all’inizio hai incolpato il corpo di averti tradita; ora incolpi la mente. Affermando che non sono separati cominci ad accogliere i pezzetti di te che hai rinnegato, a rimangiarti le proiezioni che hai imposto sulle altre persone e a rinunciare alla tua identità di vittima. Esta limpia ti stura le orecchie, permettendoti di sentire il fruscio di los espíritus; allenta il groppo che hai in gola, consentendoti di parlare con loro. Rivendicando i poteri e i processi creativi dell’inconscio (Coyolxauhqui), rendi grazie alla tua anima per le emozioni intense y los desconocimientos che ti hanno estorto la coscienza.]

[Ti alzi dal letto, stiracchi le braccia anchilosate e incespichi per la stanza come un paziente artitrico. Ben presto l’energia attizza tu cuerpo (corpo) in un’estasi tanto intensa che è impossibile contenerla. Volteggi abbracciandoti, prendendo velocità e scalciando i muri. Più tardi ti chiedi se hai inventato una storia esteriore-al-corpo nel tentativo di spiegare l’inspiegabile. Si fa strada in te l’idea che la tua pelle non ti contiene – esisti fuori dal tuo corpo, così come fuori dal tuo corpo di sogno. Se il corpo è energia, è spirito – non ha confini. E se ciò che hai esperito fosse il corpo che si espandeva sino alla vastità della stanza, non la tua anima che lo lasciava? E se la libertà dalle categorie avvenisse ampliando le frontiere della psiche/corpo, ampliando la coscienza che percepisce l’io (il corpo è la base per la percezione conscia dell’io, la rappresentazione dell’io nella mente)? ne consegue che se non sei contenuta dalla tua razza, dalla tua classe, dal tuo genere o dalla tua identità sessuale il corpo dev’essere ben più delle categorie che ti marchiano.]

[Gli occhi lechuza della tua naguala si spalancano, risvegliandoti dalla trance dell’iper-razionalità indotta dalla formazione universitaria. Un’immagine sfarfalla – non verbale, breve e sottile – indicando otro conocimiento: oltre al corpo mortale possiedi un corpo trans-temporale, immortale. Questo sapere ti sprona ad accedere a una nuova percezione di te stessa e del mondo. Nulla è fisso. Il pulsare dell’esistenza, il cuore dell’universo, è fluido. L’identità, come un fiume, non fa che mutare, è sempre in transizione, sempre nel nepantla. Come il fiume a valle, non sei la stessa persona che eri a monte. Cominci a definire te stessa nei termini di ciò che stai diventando, non di chi sei stata.
Questi stati di consapevolezza, per quanto vitali, non durano. Eppure offrono la fede che ti permette di continuare la lucha.]

[Sapendo che qualcosa in te, o di te, deve morire prima che qualcos’altro possa nascere, getti il tuo vecchio io nella pira rituale, un trapasso di fuoco. Nel rinunciare al tuo vecchio io comprendi che alcuni aspetti di chi sei – le identità che le persone ti hanno imposto come donna di colore e che tu hai interiorizzato – sono anch’esse un’invenzione. L’identità diventa una gabbia che consolidi e in cui ti rinchiudi a doppia mandata. La vita che credevi inevitabile, inalterabile e radicata in una qualche fondamentale realtà è fumo, una costruzione mentale, un artificio. Quindi, ragioni, se è tutto inventato, puoi comporlo daccapo e in modo diverso.]

[La consapevolezza riflessiva e altri aspetti del conocimiento, se praticati ogni giorno, prevalgono sui dettami esteriori delle tue culture etniche e di quelle dominanti, aggirando i mandati interiori dei geni e dell’ego personale. Conoscere le convinzioni e gli ordini generati dal tuo io spirituale ti dà la forza di mutare percezioni, te capacita a soñar otros modos di condurre la tua vita, a rivedere i copioni delle tue varie identità e a usare queste nuove narrazioni per intervenire nelle attuali storie disumanizzanti delle culture.]

[Sfidare l’ortodossia del vecchio io non è mai sufficiente; devi avanzare un abbozzo di un io alternativo. Come una Coyolxauhqui dei nostri giorni cerchi una descrizione che riassuma la tua esistenza, e non trovando alcuna storia pronta all’uso, ti affidi alla sua luce nell’oscurità perché ti aiuti a dare vita (dai rimasugli della vecchia autohistoria personale/collettiva) a un nuovo mito personale.]

[Azzuffarsi coi remolinos (vortici) di differenti sistemi di convinzioni rafforza i muscoli della coscienza mestiza, permettendole di estendersi. Essere Chicana (indigena, messicana, basca, spagnola, arabo-berbera, gitana) non basta più; essere femmina, donna di colore, patlache (queer) non è più sufficiente. Il tuo resistere alle caselle identitarie ti conduce a una tribù diversa, una storia diversa (di mestizaje), permettendoti di ripensarti in termini più globali-spirituali e non secondo le categorie convenzionali del colore, della classe, della carriera. Ti chiama a ritribalizzare la tua identità in un’identità più inclusiva, a ridefinire cosa significa essere una mexicana de este lado, un’americana negli Stati Uniti, una cittadina del mondo, classificazioni che riflettono una cultura planetaria emergente. In una simile narrazione i confini nazionali che ci dividono dagli “altri”, dalle “altre” (nos/otras) sono porosi, e le crepe tra i mondi fungono da porte d’accesso.]

[Le nuove storie esplorano aspetti della realtà – coscienza, speranza, intento, preghiera – che la scienza tradizionale ha ignorato ritenendoli inesistenti, perché non possono essere testati in laboratorio. Nelle nuove storie la scienza postmoderna cambia orientamento, non aderendo più a ciò che può essere confermato empiricamente dai cinque sensi. Riconosce la realtà nonfisica, le esperienze soggettive interiori e lo spirito. Il mondo, dagli abissi del mare alle vette più alte, è vivo, intelligente, dotato di un’anima.]

[L’incapacità di vivere col tuo vecchio io è anche una funzione corporea e non solo un dato mentale – ogni sette anni il tuo corpo muta ogni sua cellula mentre ne genera di nuove. Quando l’ultima storia/io/corpo cessa di essere credibile, o non si sta dipanando come desideri, reinterpreti il racconto che credi di stare vivendo. La tua autohistoria non è scolpita nella roccia ma disegnata sulla sabbia e soggetta al mutare dei venti. Costretta a rilavorare la tua storia, inventi nuove nozioni di te e della realtà – versioni via via sempre più multidimensionali dove corpo, mente e spirito s’interpenetrano in modi più complessi.]

[Comprendi che è il processo a essere prezioso e non il prodotto finale, non la nuova te, dato che nel corso della vita quest’ultima cambierà spesso.]

[Consideri il razzismo di gran parte delle donne bianche segreto e sempre occultato. Un desconocimiento insidioso, non permette che la consapevolezza emotiva e la sua minaccia penetrino la loro coscienza. Le donne bianche si rifiutano di riconoscere la situazione, poi dimenticano di aver rifiutato tale riconoscimento. Questo dimenticare di aver dimenticato il proprio rifiuto (repressione) è al cuore del desconocimiento. Benché molte femministe bianche ammettano intellettualmente il razzismo, prendono le distanze dalla responsabilità personale, spesso agendo come se la loro realtà e le loro modalità di conoscenza fossero universali, non culturalmente determinate.]

[Quando il loro razzismo viene smascherato, le donne bianche affermano di essere vittime di un’aggressione e s’indignano perché queste altre incagnite le “sbranano”.]

[Il privilegio della bianchezza permette loro di eludere le questioni della connivenza con chi è al comando; legittima il disprezzo delle realtà e delle modalità di conoscenza degli altri popoli – “razza” e “anima” rimangono solo parole. Il modo in cui sono state socializzate non permette che la coscienza delle donne-di-colore trasformi il loro pensiero. Timorose di perdere il privilegio materiale e psicologico, soffocano le voci altrui col rumore bianco.]

[Come scrittrice uno dei tuoi compiti è smascherare la natura dualistica del dibattito tra persone bianche e persone di colore, le immagini false e idealizzate e altri desconocimintos che ciascun gruppo possiede ma preferisce ignorare, e promuovere una prospettiva più olistica.
Guardare le donne di entrambi gli schieramenti scagliarsi addosso parole come pietre ti fa venire i crampi allo stomaco. Apedradas (bersagliata di pietre), ognuna cerca di riconquistare terreno. Intessendo la propria esperienza in una narrazione dove è lei quella a esser stata maltrattata, istiga le proprie alleate a dar fuoco al ponte con una retorica incendiaria. Opponendosi all’altra (il nemico), nutre di llamas la propria energia e le proprie parti oscure represse, trasformando la conferenza in una zona militarizzata dove dilaga il desconocimiento.]

[A prendere una batosta non sei tanto tu, quanto la visione/idea di chi pensi di essere, un’illusione che sei determinata a proteggere e preservare a ogni costo. Ignori il fatto che l’immagine che hai di te e la tua storia (autohistoria) non sono scolpite nella roccia ma disegnate sulla sabbia e soggette al mutare dei venti.]

[Negli incontri dove le persone si sentono impotenti, la nepantlera offre rituali per dire addio alle vecchie modalità di relazione; preghiere per rendere grazie alla vita che ci pone di fronte alla perdita, alla rabbia, al senso di colpa, alla paura e alla separazione; rezos per riconoscere le nostre ferite individuali; e l’impegno a non smettere di credere nelle altre solo perché ci feriscono. In incontri dove abbiamo dimenticato che l’oggetto del conflitto è la pace, la nepantlera propone tecniche spirituali (consapevolezza, apertura, ricettività) assieme a tattiche di attivismo. Dove prima vedevamo solo divisione, differenze e polarità, il nostro senso connessionista dello spirito riconosce nutrimento e reciprocità e incoraggia le alleanze tra i gruppi che lavorano per trasformare le comunità. In incontri dove sentiamo che ci sono stati succhiati via i sogni, la nepantlera ci guida nella celebrazione della comunidad soñada, ricordandoci che lo spirito connette le parti belligeranti e irriconciliabili para que todo el mundo se haga un paíz, perché tutto il mondo possa diventare un pueblo.]

[Quando sposti l’attenzione dal tuo punto di vista consueto (l’ego) a quello de la naguala, e da lì sospingi la tua consapevolezza verso una rappresentazione interiore di un’esperienza, una persona, una cosa o un mondo, la naguala e l’oggetto osservato si fondono. Quando integri la complessità del provare due o più sensazioni rispetto a una persona/questione, quando entri in empatia e tenti di guardare alle circostanze di quella persona a partire dalla sua posizione, accogli la prospettiva altrui, ottenendo un conocimiento che ti permette di slittare verso un’identità meno difensiva, più inclusiva. Quando ti rapporti alle altre, agli altri non come a parti, problemi o risorse utili, ma da una visione connessionista, la compassione innesca la trasformazione.]

[Noi siamo l’altra, l’altra è noi – un concetto che AnaLouise Keating chiama “Re(con)cepire l’altra”. Onorando l’alterità delle persone, las nepantleras invocano una posizione “nos/otras” – un’alleanza tra “noi” e le “altre”, gli “altri”. In nos/otras il “noi” è diviso in due, con la barra nel mezzo che rappresenta il ponte – la miglior reciprocità in cui per ora possiamo sperare. Las nepantleras prefigurano un tempo in cui non ci sarà più bisogno del ponte – saremo passate a un nosotras ininterrotto. Questo passaggio richiede un diverso modo di pensare e di relazionarsi alle persone; richiede che agiamo a partire dalla nostra interconnettività, un modo di connettersi simile ai link multipli degli ipertesti che comprende svariate altre, svariati altri, e non dipende dalle categorie tradizionali o dalla somiglianza. Questo diverso modo di relazionarsi dà luogo a una ritribalizzazione, riconoscendo che alcuni membri di un gruppo razziale o tecnico non per forza rimangono nella coscienza e nei condizionamenti del nucleo in cui sono nati, ma si spostano in modo momentaneo o permanente. Per esempio, alcune bianche incarnano una coscienza di donna-di-colore, e alcune persone di colore incarnano una coscienza “bianca”.]

[Sebbene tutte le tue culture rigettino l’idea che tu possa conoscere l’altra/l’altro, tu credi che oltre all’amore anche il dolore sappia spalancare questo passaggio chiuso per connettere attraverso la ferita. Le ferite ti fanno mutare coscienza – ti aprono a una realtà più vasta di norma ostruita dal tuo punto di vista abituale o al contrario ti isolano, spingendoti fuori dal corpo e nel desconocimiento.]

[Rifletti sulle esperienze che ti hanno spinta, in momenti critici di trasformazione, ad adottare l’attivismo spirituale. Quando hai iniziato a viaggiare e a essere ingaggiata come oratrice il ritmo assillante, frenetico, convulso dell’attivismo ti ha sfinita. Per affrontare i tuoi problemi personali occupandoti al contempo di questioni più ampie nella sfera pubblica hai cominciato a servirti di strumenti spirituali per gestire l’oppressione razziale e di genere e altre moderne maldades – non tanto i sette peccati capitali ma i piccoli gesti di desconocimiento: ignoranza, frustrazioni, inclinazioni all’autodistruzione, sentimenti di tradimento e impotenza, e povertà di spirito e immaginazione. Le pratiche spirituali del conocimiento come la preghiera, i respiri profondi, la meditazione, la scrittura – cadere in te stessa attraverso la pelle e i muscoli e i tendini giù nel profondo del midollo osseo dove la tua anima è àncora – ti hanno permesso di stemperare l’energia negativa delle critiche, delle lamentele, dell’eccessivo parlare e delle aggressioni verbali, così come di altri sicari dello spirito. La spiritualità è diventata il porto in cui approdi a ogni tempesta.]

[Per te scrivere è un viaggio archetipico di ritorno a casa, all’io, un proceso de crear puentes (ponti) per la prossima fase, il prossimo luogo, la prossima cultura, la prossima realtà. Quando torni a “casa” lo slancio verso la realizzazione spirituale, la salute, la libertà e la giustizia ti sprona ad aiutare a ricostruire il ponte per il mondo. Comprendi che la “casa” è quel punto, il luogo di mezzo del nepantla e dell’incessante transizione, il più insicuro degli spazi. Rimuovi dalla tua schiena il vecchio ponte e, sebbene tu sia spaventata, lasci che molteplici gruppi lo ricostruiscano collettivamente, che lo puntellino con nuove lastre d’acciaio, travi, funi di rinforzo e tralicci. Protendi questo puente più inclusivo verso angoli ignoti – non costruisci ponti per territori sicuri e familiari; devi assumerti il rischio di creare un mundo nuevo, devi assumerti il rischio dell’incertezza del cambiamento. E il nepantla è il solo spazio dove il cambiamento avviene. Il cambiamento richiede ben più di qualche parola su di una pagina: vuole perseveranza, ingenuità creativa e gesti d’amore. In gratitudine e nello spirito delle tue Mamagrande Ramona y Mamagrande Locha, despachas éstas palabras y imágenes come omaggi al cosmo.]

Nota sulla traduzione
Laura Scarmoncin

[Tradurre i saperi del margine è un compito complesso, che non dovrebbe essere approcciato né con l’eccesso di identitarismo né con la presunzione dell’oggettività. Se la prima postura rischia infatti di elidere o eludere il fatto che quello della traduttrice è un mestiere vero e proprio, mai del tutto riducibile a un posizionamento esistenziale, sociale o militante, la seconda elide o elude il fatto che tradurre è, in sé, un atto politico, specialmente quando il suo oggetto sono narrazioni o saperi esclusi nella cultura di partenza e/o in quella di arrivo.
Da parte nostra, volevamo affrontare questa complessità evitando entrambe le trappole per offrire una traduzione che fosse al contempo professionale e politicamente radicata, senza circoscriverla a una mera questione di identità o appartenenza, ma non abbandonando mai la consapevolezza che ogni gesto traduttivo è un gesto situato. Seguendo le orme altrui, abbiamo allora deciso di lavorare al testo di Gloria E. Anzaldúa in modo collettivo, mettendo in comune le rispettive competenze, conoscenze ed esperienze in un confronto che si è dipanato per tutti i mesi della stesura. La traduzione che avete tra le mani è quindi frutto di un lavoro a “più occhi”, ovvero di uno sguardo che abbiamo ritenuto necessario fosse molteplice sin dall’inizio, perché molteplici sono le “sapienze” e le sensibilità che richiede uno scritto – e un vissuto – come quello di Anzaldúa.]

[Tra le altre cose, questo lavoro corale ci ha permesso di dirimere alcune questioni traduttologiche che sono al tempo stesso importanti questioni politiche, per cui né l’esperienza nel campo della traduzione né quella nell’ambito dell’attivismo femminista o degli studi sulla letteratura chicana o ancora il retaggio etno-culturale sarebbero stati da soli sufficienti.]

[Un ultimo appunto: il testo che avete tra le mani è un’operazione pubblicata postuma grazie alla cura editoriale e filologica di AnaLouise Keating, una delle “comadres di scrittura” di Anzaldúa. Negli anni finali della sua vita Anzaldúa vi stava lavorando con la volontà di proporlo come tesi di dottorato in letteratura all’Università della California di Santa Cruz. Abbiamo scelto di non restituire l’edizione filologica edita per la Duke University Press, ritenendo al momento più consono offrire al pubblico italiano il testo sgombro da gran parte degli apparati paratestuali originali. Ma anche a prescindere da ciò, nella sua natura di bozza inconclusa l’opera resta uno scritto magmatico, mobile, dove fluisce un pensiero non del tutto cristallizzato, fisso o compiuto. Ci siamo allora immerse nelle sue strutture semiotiche, concettuali e stilistiche carsiche, serpentine, abbracciando il fatto di ritrovarci in un dialogo aperto e a volte incerto, ma forse, anche per questo, capace di sorprenderci e scuoterci dai nostri costrutti mentali abituali, “riassemblandoci” – come direbbe Anzaldúa – in modi che non avevamo previsto. Auguriamo la stessa potente, spaesante esperienza a chi leggerà questo libro.]


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1 Comment

  1. A latere del discorso sul testo, questo è un film che a mio parere (Carlo Martello) apre ponti esattamente nella misura in cui Anzaldúa apre il suo e il nostro mondo.
    https://mubi.com/it/it/films/mekong-hotel -: Mekong Hotel, di Apichatpong Weerasethakul, connette mondi diversi attraverso una spiritualità che è allo stesso tempo denuncia. Questo è nepantla, per me.

    Una critica più compiuta del film, girato in una coraggiosa mis(t)ura di mediometraggio, arriverà, perché è un capolavoro attentissimo ai movimenti umani e politici del presente.

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