di Carlo Martello
copertina di 256 Edizioni
Esiste in Italia un numero cospicuo di persone che si dedica alla letteratura di genere o alla letteratura fantastica, insomma che si distanzia dalla letteratura che più spesso genera attenzioni. In alcuni casi, questa vocazione al martirio letterario non trova soddisfazione completa e allora si sceglie anche il formato della novella.
Al di là della polemica sottesa (e allora la esplicito: esistono libri belli e libri meno belli, capolavori e libri orribili e non è mai, dico mai, una questione di genere o di formato, quelle sono scelte industriali, nient’altro. Se si vuole credere alle scelte industriali si è liber* di farlo. È importante sapere però che anche nell’industria c’è della letteratura fantastica, a partire dalla Mano invisibile del mercato, una specie di Fantomas ubriaco), che purtroppo mi è scappata di mano, il punto è che I perduti di Bosco Rosso, di Arianna Cislacchi, edito da 256 edizioni, è fin dal titolo un libro di genere. Più precisamente è una novella fantastica: un villaggio che però è anche una società, una civiltà, che basa la propria organizzazione sull’uccisione allo stesso tempo rituale e indiscriminata delle specie animali. Nessun* ha niente da ridire. Solo una ragazzina, Sophie, una delle due protagoniste della novella, non riesce a partecipare. La sua scelta da un lato è consapevole, dall’altro è obbligata dai segnali fortissimi che il suo stesso corpo le invia. A un certo punto la società, per così dire, fa strage delle bestie sbagliate. Non rivelo altro della trama, che è appassionante.
Questo ci è sufficiente per dire che ci sono degli elementi che possiamo facilmente rimandare alla nostra esperienza e che qui sono inseriti in una trama fantastica, con animali immaginari e poteri enormi.
Il primo riferimento, è molto semplice coglierlo, è al vegetarianesimo o al veganesimo. Le posizioni possono essere molto diverse, io credo che il vegetarianesimo e più ancora il veganesimo siano delle scelte sagge, allo stesso tempo so bene che per alcune persone non sono del tutto praticabili. Come al solito, ciascun* fa quello che può e quello che gli dice la propria sensibilità. Il fatto indiscutibile però è che la dieta che comprende il nutrirsi di animali è sorella del capitalismo. Arianna Cislacchi, in questa novella, rappresenta molto bene una società che fonda sé stessa e la propria cultura sull’uccisione degli animali, sul percepirsi al vertice della piramide. Somiglia molto alla nostra.
Sophie, nelle primissime pagine, non solo non viene ascoltata ma è addirittura osteggiata, trattata malissimo perfino dalla madre. Sophie è quella strana, sospetta, che viene considerata scema e poi pericolosa. È impossibile non pensare a come vengono trattate le persone vegane, quando va bene con paternalismo e battute trite, quando va male con astio. Le cose sono parzialmente cambiate, ma insomma, parliamo di una minoranza esigua. Ancora peggio va alle persone antispeciste. L’idea che non siamo né migliori né più vincenti delle zanzare, delle zebre o delle rondini proprio non fa breccia nel pensiero collettivo. Noi non abbiamo piegato il mondo, lo abbiamo rovinato. Purtroppo ci stiamo portando dietro molte specie animali e vegetali, ma l’era umana sulla terra non la chiamerei vincente. Appassionante, se vogliamo. Divertente. A tratti surreale. Io spero vivamente che si possa recuperare, non sono un fan dell’estinzione. Sono convinto però che questo sia possibile solo a patto di rinunciare all’idea che l’essere umano è meglio del topo o della cozza. Anzi, di più, è possibile solo a patto che col topo e la cozza si inizia a collaborare seriamente.
Perché tutto questo discorso? Perché il mondo de I perduti di Bosco Rosso viene messo in pericolo, il rischio è la fine. Non rivelo altro, ma c’è uno dei temi fondamentali della produzione di Arianna Cislacchi, ovvero la vendetta o almeno la possibilità della vendetta.
Nella novella è esplicitata in modo anche molto duro (del resto, una vendetta morbida lascia il tempo che trova), ma di nuovo, quello che voglio rilevare qui è che si tratta della trasformazione letteraria di una condizione generale alla quale partecipiamo. Noi stiamo assistendo e stiamo partecipando alla “vendetta” del pianeta. Un pianeta non si vendica, si riequilibra, non prova sentimenti, ma insomma, qui parliamo di una novella.
Il libro è molto breve e forse questa storia avrebbe meritato più spazio, maggiore approfondimento, più respiro, ma anche in poche decine di pagine si trova una storia appassionante, una scrittura scattante e una rielaborazione fantastica molto accurata ed emotivamente coinvolgente del mondo, reale, che abitiamo.
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