FAMEEE

di Aurora Angeloni
copertina di Chiara Casetta


Ho fame.

In un tripudio di sensazioni sgradevoli,

ho fame.

Nell’olezzo disgustoso delle strade portuali d’estate,

ho fame.

Di tutto, ingorda, come i pesci rossi che ho comprato. Non conoscono sazietà. Sazietà! Perseverare. Scavare il fondo della scodella. Diabolicum. Continuo a scuotermi in gola questo pacchetto di biscotti, di malefatti, scende ancora qualche briciola, qualche rimasuglio d’amore, c’è ancora della polvere, amara, nel pezzo di sacco dell’immondizia nero.

Sono un procione, o un santo, o una succulenta che assorbe tutta l’acqua che può. Tutta la vodka che posso. Raccolgo i pezzi di tazza e ci faccio un tenero kintsugi che sembra far combaciare tutto bene ma c’è un buco, una fessura impercettibile da cui si perde il latte. Non entra la luce, Leonard. Esce la mia colazione, goccia dopo goccia. Ed io impreco di mattina.

Ho preso questi pesci per studiarli, prendere atto della mancanza di sazietà nei loro occhi enormi neri come i miei che si avvicinano al vetro quando sentono il coperchio del barattolo del mangime aprirsi, o forse è la mia immaginazione? Lo fanno. Sembrano assatanati quando mangiano. Come me quando mi accorgo di essere l’unica a tavola a non aver mai poggiato la forchetta da inizio pasto. Prenditi una pausa. Respira. Può passare del tempo tra una bevuta e l’altra. Ma a me restano solo due dita di birra, e poi mi sembra decisamente surriscaldata, scusa, puoi farmene un’altra media? Mi ci puoi versare un po’ di vodka? Avete delle olive verdi giganti? Avete una raglia, o qualcosa o qualcun* su cui posso poggiare il naso? Ho. Bisogno. Di annusare tutti i fiori. E pigiare tutti i tasti.

Alcuni dicono: grattare il fondo.

Altri dicono: arrivare al cuore.

Dipende da dove si scava. Sotto al letame c’è humus fertile. Sotto la mia epidermide c’è carne viva. Credo.

Non ho mangiato carne per qualche anno. Volevo solo carne d’agnello. Ho allevato degli agnelli e li ho mangiati. Mi piace mangiare ciò che amo? Forse allora vorrei ingurgitare i miei cari, tenerli al sicuro nel mio stomaco, galleggianti tra i miei succhi gastrici, vino e gocce di lexotan aromatizzato alla ciliegia. È sbagliato, mi spiego: non sarò mai sazia perché la volontà di mangiare è uguale al desiderio di possedere e non posso rinchiudere esseri mortali in un barattolo da riporre su una mensola della mia dispensa. Prima di tutto, io non ho dispense. Io lecco la salsa dai coltelli. Io fumo le rose più belle. Io calpesto le briciole e mangio il boccone più succulento per primo. Non fermatemi, sono una falena sul fuoco. L’ultimo piacere che riesco ad immaginare: mangiare, consumare la bellezza. Posso?


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1 Comment

  1. Non è tutto un’equazione. a una o due incognite. conosci le regole, al massimo copi e porti a casa il risultato. E’ che ti capita, e non puoi dare una spiegazione. non vuoi. sembra che i piedi non siano appoggiati al terreno. tutto diventa altomare. una perdita, una fine, cazzo, e il libretto di istruzioni per questo? vuoi stare a galla, muori dalla voglia. ti viene come una bulimia per riempire un vuoto. amore? qualsiasi vuoto. sembra quasi che ti piaccia. Vorresti ‘grattare il fondo’ per ‘arrivare al cuore’. ma quando sei nel fondo del mare, la luce non passa. la ‘carne viva freme’, è offesa! tocca viversela!
    palpitante racconto. Non sono un editor, ma mi sembra uno di quei lavori in cui c’è attenzione vocabolo per vocabolo. il feedback è il quadro di un’emozione, un dolore, smarrimento, qualcosa di tosto in ogni caso che accompagna fino alla fine.

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