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Isola di parole
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 30/11/2021 2 Comments 13 min read
Il clan dei Dal Lago Previous Non vogliamo lavorare, vogliamo i soldi. Ovvero, canzonette, e non solo, contro la disparità di reddito. Next

di Mario Bianco
Copertina di Veronica la Greca – Nonna

Cioè, non faccio per dire, però quanto al tipo (ma forse non era un tipo o individuo, ovvero il soggetto a cui accenniamo o accenno può darsi sia collettivo), cioè, ritorno al ciò è: gli è venuta l’idea, io, (o noi), non so, non sappiamo cosa cavolo avesse mangiato divorato ingozzato fumato oppure fosse annebbiato dai fumi di qualche allucinogeno o gli fosse scoppiata la pensata, talvolta detta balzana o folle, perché scazzato dalla solita routine della sua arte scribendi, non si sa, né sta a noi dirlo, o a me o a lei, (la signora maestra, forse?).

Però può darsi anche, ma non ne sono o siamo certi o certe che il tipo o tale fosse piuttosto preso da un singolare stato di follia momentanea, (cioè non esageriamo), piuttosto da una forma di ipereccitazione, o al contrario, di una sorta di depressione consapevole da cui voleva uscire, o piuttosto una smania creativa singolare che l’indusse, o ora, o forse, perché non è affatto certo che ciò sia avvenuto nel passato, quindi magari l’induce al momento presente o di poco fa, ma domani no.

Cioè, lui con la smania di scrivere, di estendere segni su carte o fogli,  cioè, a volte si eccitava, tuttavia talora si calmava e si concentrava, metti vieppiù.

In vero in questo suo vizio o vezzo o moina vuoi artificio era da ammonire, anche da rimproverare, però ciò, ciò è, noi e loro, non avevamo potere reale e materiale di impedirgli di compilare il modulo o la pagina o foglio o  scartafaccio su cui andava pasticciando e imbrogliando il suo brogliaccio, o meglio, è assai più facile che volesse imbrogliare un eventuale lettore anche e soprattutto lettrice, ch’esse son tante di più: in vero, il fatto o dato è verificabile da statistiche approvate dai superiori, però non si sa chi essi siano, ma diciamo pure che, ciò è, esso o essi, si compiacevano di scrivere con licenza dei superiori, però di fatto, anche talora, degli inferiori, giacché, sì, giacché non era noto al soggetto estensore/i del progetto, o quel che era ed è, lo stato dei piani o livelli visti in altitudine, forse dal piano terra o forse subterraneo, non è affatto certo. Però i suddetti estensori si compiacevano di affermare anche abusivamente di scrivere o di compilare i moduli o formulario novelle succitate con licenza dei superiori; ciò è, ora è chiaro e limpido e palese che essi si compiacevano di dire che scrivevano o compilavano il loro brogliaccio con licenza dei superiori, per puro piacere di dire una corbelleria emulando i piè di pagina di certi antichi frontespizi librari anche di un certo valore, sì, anche di sommo pregio, magari tratti da cinquecentine raccattate chissaddove.

Ciò è, ma non è chiaro se questo vezzo o ghiribizzo fosse dovuto a licenza diciamo poetica o una sorta di smodata vanità o lussuria letteraria, non è chiaro, anche perché c’era una nebbia della madonna.

Non era chiaro e non lo è mai: noi, (io e tu e lei ed esse), in vero, verità e specificità lo possiamo affermare chiaramente, senza ombra di dubbio o forse con un ombra sfumata tendente ad un grigiastro semitrasparente con una stilla riscaldante di bruno Van Dick.

Siccome non era, appunto, chiaro, allora agli estensori del compendio vuoi testo o brogliaccio o pantafora multiforme, che pare composta da vari pezzi o tocchi di prosa vuoi di scomposto versicolare, non era in somma o in summa, ciò è, se addirittura volessero stendere una summa tematica che già dibattevano o si battevano, anche con manate in faccia, tipo schiaffoni, tra loro o intra sé medesimo, quasi corpus unicum, compatto & solido, ciò è, in poche parole, non sapeva cosa diavolo andavano stilando, scrivendo stendendo anche se mal disteso.

In vero, in fatti, se è lecito: una tale andava battendo i pugni s’un gran desco asserendo che il tema principale aveva da essere isolato dal resto dello sproporzionato malloppone che il gruppo o quel che è andava accumulando con decine di appunti lazzi grida note esplicative aggiunte postille avancorpi da retroguardie letterarie. In somma andavasi formando un tal pasticcione vuoi accozzaglia di letterame che la suddetta urlava che porcodiavolo almeno troviamo un titolo significativo echeccazzo che tutti andate blaterando s’ha da mettere un titolo tematico. Porcogiuda disse uno: non è un titolo disse Amedeo, o forse un tale che si chiamava così, vabbè, insomma ripassò all’attacco la detta donna letterata di pocanzi tuonando: orcoqui, il tema è Isola, siamo isolati, per cui il tema è e sarà isola e non rompete più col vostro ronzare, biascicare, tergiversare, deviare di qui di là sono tutte scuse per non lavorar seriamente essendo gruppo isolato saremo isolati in isola composta da noi stessi, coi nostri consci subconsci e inconscio pur immaginario vuoi collettivo, if is possible, tipo collettame, ovvero noi medesimi costituiremo e stenderemo statuti, forme, ipotesi dell’isola, articolando in modo più vario possibile i multiformi lemmi o termini vuoi parole che vanno o andranno a comporre l’isola, (o lembo di suolo o terra o roccaforte o fanghiglia quand’anche simbolica), suddetta, seppur figurata mentalmente vuoi illustrata anche con mezzi meccanici grafici o informatici, anche tipo una matita, ciò è, dico anche colori vari se quel  fesso lì che si gingilla con la biro si mettesse  a fare un grafico, che so io, almeno un disegnino di detta isola, vuoi magari un collage! Va bene, o no!?

Il momento grave andava figurandosi giacché la, ciò è, colui che, o essa, ma non si sa, espose o esposero il dianzi trascritto testo o insieme di motti o programma  insulare, aveva o necessitava di una approvazione, però rimane l’enigma del fatto già esposto letterariamente con un tentativo invero serio, se a dire e a programmare erano in gruppo o era lei o lui o l’altro.

Ma in fin dei conti non è importante.

Perché poi sul tavolo o gran scrittoio o mensa vescovile vuoi cardinalizia cominciarono ad affluire una serie di fogli, e pure cartacce unte da frammenti di cibo, e fogli da cestinare perché illustrati da forme oscene, come disse, anzi urlò, Amedeo: È quel fetente di Edward che butta sul tavolo ‘ste porcate, non ha ancora cominciato un file che già passa a lazzi e frizzi e stronzate anche se non c’è nemmeno un pubblico pagante, porcogiuda! Di fatto Edward non lo conosceva nessuno ma queste sono certe libertà che si prende o concedevasi Amedeo, perché lui aveva già accumulato, da prima, di nascosto ad essa, o anche a loro medesimi, quelli già nominati oppure no, da circa una settimana il famoso malloppone insulare, per dire della singolarità dei fatti esposti. Questo è noto da tempo: ciò è che il detto Amedeo voleva sempre arrivare primo e rimproverare gli astanti, gli assenti e anche gli assunti essendo lui più che altro precario di natura.

Però poi essa si impose, anzi impose il silenzio.

Quindi prese a manovrare in modo assai rapido iniziando a formare un cumulo delle carte presenti sul tavolone, anzi accesa una stampante aveva dato impulso alla medesima ché sputasse una quantità di roba insulare sul suddetto supporto (che poi a dirla tutta era il vecchio tavolo da pranzo della nonna Adelina, quella che sopravvisse alla spagnola nel 1918 e lì sopra ci imbandì pure pranzi eccellenti, eleganti e non, a non finire, anzi una volta fu sussurrato dalla pessima Tiberia che si era fatta fottere su di esso dal lussurioso colonnello Gribaudi, invalido di guerra).

Ovvero, ciò è, disse essa e dico io: anche il tavolo medesimo ha da considerarsi un’isola! È vero o no? Esso sta su, costituendo superficie lignea sopra almeno un metro rispetto al livello di questo orrendo pavimento di graniglia, che sarebbe ora di sradicarlo, e cambiarlo, vero Amedeo!? Quindi se isola è, isola sarà anco per noi ove porre i frutti del progetto Insula, o in sula, o in sola o fa lo stesso, basta che vi mettiate a lavorare, razza di bestie nullafacenti, almeno si vede qualcosa di decente oltre le mappazze del qui presunto presente signor Amedeo.

Allora uno piccolo, uno che forse era stato usciere alla Prefettura, disse che lui non si sentiva tanto bene nell’isolamento, pur tuttavia aveva elaborato un certo testo che trattava appunto del tema suddetto, appunto siccome non mi sentivo bene isolato mi sono messo a scrivere scopo confessione intima, perché me lo consigliò la dottoressa Sponzilli, perché già allora ero solo come un cane in quell’anticamera palaziale, dopo ch’era andato in pensione il vecchio Simoncelli, ecco, insomma, io ho qui un libriccino che mi stampò mia nuora in ufficio ché tanto nessuno dice niente. Però ci fu come un putiferio che Amedeo c’incazzò  a morte e se ne uscì dalla comune.

Ecco questo fatto è una roba che fa spesso, s’incazza e va via, poi magari è anche meglio, per quanto in genere torna dopo dieci minuti, magari è andato in bagno o forse è sceso da Mike Spillane a ingollarsi una birretta scura, ciò è, magari se resta un poco giù non rompe le palle, però questa volta è uscito dalla comune, però non è mai capace a uscire dal comune, se non dall’ovvio, ovvero noi vorremmo dire, e ora confermiamo, che Amedeo scrive delle storie gialle del cavolo ove i protagonisti sono degli impiegati statali sornioni che poi diventano detective e scoprono le collusioni del capufficio con la mafia: dunque, se ha scritto di nuovo qualcosa come pare far vedere tipo con la risma di roba che ha mollato lì sul descone, ci sarà da ridere perché gli molliamo una sberla ché la pianti con ‘ste menate e stia sul tema, proposto e imposto, occazzo, cio è, su In sula. Però se n’è andato via pure quel poveraccio della Prefettura perché si è offeso, allora uno ha preso la risma di Amedeo e c’ha messo sopra il libriccino del tale usciere offeso, così la detta istruttrice della pratica ha mosso le mani, in qualche modo, ma con esuberante coreografia, e disse, o ha detto o dice: Epperlamiseria, comunque una base c’è, cioè guarda lì,  la mappazza  di Amedeo e il libriccino del prefetturino, ciò è, che se uno li mette su uno sull’altro abbiamo già un forma ad interim dell’In sula.

Però uno ha detto: ma non ho mica capito bene ma perché ‘sta roba dev’essere in sula e non insula o isola o isoletta, porcapaletta!

Quest’uno era una voce che chiamava nel deserto infatti nessuno l’udì, però la tipa fece mostra d’indignarsi almeno un poco, muovendo la testa di scatto e scuotendo il folto bruno vuoi castano scuro capellame (ben tinto) con mossa superba che nel suo profilo, poi immobilizzato, quasi scorgevansi tratti da disegno michelangiolesco o piuttosto di qualche seguace manierista.

Le scena fu poi tutta chiusa su di un fermo immagine teso alla collettiva contemplazione dei due oggetti cartacei di origine diversa, pure come componenti materiali ed estetici, sovrapposti ad arte, perché l’autore si autoproduceva come artista, per comporre, forse già prima del fatto increscioso, da Amedeo, ciò è una natura morta libraria tipo fiammingo del 1650 circa. Natura morta invero misera perché composta soltanto da due oggetti scadenti nell’aspetto e forse nel contenuto, aggiungasi che lo sfondo benché tendente ad una soffusa ombra rembrandtiana era turbato dalla presenza di un trespolo in legno stile novecento alto circa mt.1,60 con su un vaso mezzo rinsecchito d’aspidistria. Quello era o era stato della mamma di Amedeo, forse anche di sua sorella ma non è certo né importante.

Tanto se n’era andato. Ma la Maestra dopo tutto il suo stravolgimento scapocchione prese a inveire ma cosa cavolo diavolo stiamo facendo che su ‘sti due pezzi appostati sul tavolo a far isola non s’aggiunge nulla ed e è una composizione oltremodo scadente, caspita & merda!

Il tale, quello imbronciato, col muso storto, che stava lì annoiato e che sembrava il cognato di Amedeo ha attaccato a dire e non la mollava più una sua tiritera macheccazzo stiamo a combinare che isolati lo siamo già porco schifo ché non so nemmeno mio cugino, o cognato che sia, cosa è andato a fare fuori che c’è la peste ché l’ha fatto per puntiglio è ovvio e anche perché la cosa è mal condotta che di robe da mettere su e fare insula o isola o sola, anche sola, sì, tipo ‘na sola de scarpe, sì, ne abbiamo a iosa e a Pittsburgh, anche a Pittbull, tanto per dire esagerando in traslazione, ciò è: e ve lo dico io è ora di mollarla con le chiacchiere e le quisquiglie, mettiamo su roba sul tavolo e tiriamo fuori i malloppi nascosti, vuoi rimossi dalla mente, ché facciamo un bel mucchio tipo un monte insulare tipo lo Stromboli, non so se mi spiego altro che ‘ste due menate, cioè salvo quella di mio cugino, quella del coso di prima la buttiamo dal finestrino.

Quale finestrino? (così ha detto uno).

Ma non stiamo a sottilizzare se no ti butto io dal finestrino!

E provaci, pezzo di merda, fatto sta che sono venuti alle mani e anche la maestra c’ha messo del suo che ha mollato una lorda bestiale al cugino di Amedeo ché l’ha fatto volare fuori da un balcone che prima manco si vedeva mentre quello lì, l’uno, è scappato via dalla comune.

Un altro merdoso in meno ha sentenziato Gigi.

Sì, ma tu, Gigi, almeno di roba buona ce n’hai?

Eeehh, ce n’avevo fino a due settimane fa, fino a che mia mamma c’era e aveva fatto dei panzerotti della madonna da far risuscitare i morti invece è morta lei, povera donna.

Allora c’è stato il compianto.

autori insula isola letteratura Mario Bianco Racconti Veronica la Greca


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  1. grazie, anche per l’illustrazione pregevole di Veronica La Greca; la radiolina forse c’era, ma non si sa, però forse la tipa la teneva a volte troppo accesa e allora Amedeo come sempre faceva le facce brutte poi dava ‘na manata alla medesima radiolina che non si scassava mai perché cadeva, per fortuna, sul vecchio tappeto della nonna Adelina….

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