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CE4
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 15/02/2022 0 Comments 6 min read
Giorno di paga Previous Linea - quattro vie tra la carta e la terra. Next

di Fernando Pennaforte
Copertina di Alpraz

«人类,我平安而来».

Marco apre gli occhi. Non sente più il freddo cemento delle strade di dicembre sotto di sé, non sente più nemmeno l’odore del vino rovesciato a terra che lo ha accompagnato all’abbraccio di Morfeo. Deduce quindi di non trovarsi più sul familiare marciapiede sul quale si era addormentato, ma in un ambiente bianco, asettico, vuoto. È forse morto?

«我不会伤害你».

Marco si prende la testa tra le mani, che errore fu comprare il vino da settanta centesimi dell’Eurospin. Guarda davanti a sé, il cuore gli si ferma. C’è una grossa lucertola violacea con solo un camice addosso, su due zampe come un essere umano. Questa lo fissa e intona delle cantilene stonate in un goffo tentativo di cinese mandarino, ma a poco serve, Marco non lo sa il cinese.

Si guarda intorno cercando una via d’uscita, ma senza successo. Inizia a pizzicarsi i polsi sperando di essere in qualche sorta di delirio onirico, ma il dolore è reale quasi quanto l’emicrania del dopo-sbornia. Corre urlando nella direzione opposta al suo interlocutore fino a scontrarsi contro il muro.

La lucertola ha tra le mani qualcosa che assomiglia a un tablet, ci preme sopra come per digitarci delle parole, ma Marco è troppo impegnato a strillare e tastare con le mani le bianche e curve pareti di metallo per accorgersene.

«人类 – *bzz* non sono qui per farti del male. Riesci a *bzz* understand me?».

La speranza di fuggire si spegne, iniziano le lacrime, che gli scendono sulle guance paonazze.

«S-sì. Ti prego fammi tornare a cas-casa. Ho… ho due figli», mente.

Gli occhi della lucertola saltano a intervalli regolari dallo schermo del tablet all’uomo rannicchiato al muro. Scrive qualcosa e poi parla, la voce è tremante, quasi imbarazzata.

«Buonanotte, il mio nome è Pavlòm, sono qui come sstage per la mia Accademia. Vorrei capire come voi uomini esistete. Posso farti alcune domande?»

L’uomo guarda sconvolto la lucertola negli occhi senza palpebre. La lingua biforcuta fa capolino dalla bocca, dà una leccata a una narice e torna dentro.

«Sì, sì. Risponderò a tutto, voglio solo tornare a casa».

«Ottimo. Prima domanda. Chi è stato il primo di voi? Quando siete incominciati come sspecie?»

Marco inizia a sudare. Ormai è sobrio come non lo è mai stato nella sua esistenza. La lucertola lo fissa in trepidante attesa.

«Boh, Adamo? Non lo so…»

Torna a piangere spingendo la testa fra le ginocchia.

«Mhh… Ma non lo sai come individuo o non lo ssa nessuno di voi?»

L’uomo scuote la testa come per dire di no. La lucertola scrive qualcosa sul tablet e la sua poco evoluta espressività facciale sembra mostrare un accenno di delusione.

«Non crucciarti, andiamo avanti. Il vostro complesso ssistema di simboli, quello che utilizzate per comunicare, da dove viene? Come è stato creato?»

I due si guardano in silenzio per un po’. Un bel po’.

«Cosa sai dirmi sulla tua sspecie?», incalza la lucertola con tono quasi esasperato.

Marco deglutisce, e si asciuga gli occhi. Si riguarda intorno in cerca di una via di uscita, ancora nulla. Il panico lo spinge a rispondere. Più interiezioni che parole, il risultato sembra un’interrogazione di algebra.

«Siamo vertebrati, mammiferi, onnivori. Ci dividiamo in uomini e donn…»

Viene fermato bruscamente da un gesto del rettile.

«Ssì, questo lo so. Siete identici al resto degli esseri viventi del corpo celeste. So come funzionate, ho anche ottenuto accesso a un mastodontico archivio di contenuti multimediali contenenti istruzioni sulla vosstra copulazione. Cerco informazioni su una vostra peculiarità, la vostra ☊̶̖̭̣̀͝⎍̴̞̠̈́⌰̷̩̩̓̈⏁̴̰͝⎍⍀̵̙͚̟̄̄͝⏃̴̻͍̓͂.»

C’è un altro momento di silenzio.

«Non ho capito».

«Ho detto: cerco informazioni sulla vosstra ☊̶̖̭̣̀͝⎍̴̞̠̈́⌰̷̩̩̓̈⏁̴̰͝⎍⍀̵̙͚̟̄̄͝⏃̴̻͍̓͂.».

Il povero Marco torna a urlare e piangere. Tra un singhiozzo e l’altro, con una voce soffocata dal muco e da un attacco di panico, ripete ad intervalli irregolari di non aver capito.

La lucertola è in evidente disagio, si gratta la testa e inizia a swipare col dito squamato le pagine del tablet come se stesse cercando qualcosa. Poi aspetta in silenzio la fine della crisi di nervi dell’uomo.

Marco si soffia il naso con un lembo della sua camicia. È ancora rannicchiato a terra.

«Posso tornare a casa adesso?»

Il rettile si gratta il collo imbarazzato, non sa più cosa chiedere a questo esemplare inutile, ma non può andarsene a mani vuote.

«Parlami di te».

Il pover’uomo tira su col naso e raccoglie i propri pensieri prima di rispondere.

«Mi chiamo Marco. Noi ci presentiamo con quello che facciamo nella società, ma io non faccio niente, quindi non sono nessuno. Ho studiato ingegneria per un paio di anni ma poi ho perso la borsa di studio. Il mio compagno è un impiegato in un ufficio comunale e mi mantiene, io lo aiuto economicamente disegnando su commissione animali antropomorfi che se lo buttano in culo a vicenda. Ci amiamo ogni giorno di meno e io bevo ogni giorno di più. Mi sento un fallimento di essere umano e l’unica cosa che mi tiene lontano dalla morte è la consapevolezza che il terminare della mia esistenza non sarebbe altro che l’ennesimo e ultimo fallimento di una lunga serie, che costruiscono la mia vita come degli anelli di una catena malfatta ed inutile, e non voglio…», inspira, «Ora sono qui a parlare con un cazzo di alieno e in fondo in fondo mi dispiace per lui perché ha beccato l’essere più insignificante sulla faccia del pianeta per fare la sua tesi del cazzo per la sua università della galassia del cazzo».

La lucertola preme un tasto sul tablet e questo si piega si sé stesso più volte, scomparendo nel nulla, poi guarda l’uomo con occhi spenti. Quest’ultimo è in uno stato che è un misto tra paura, rabbia e tristezza e intanto ansima, piange e suda. Trova il coraggio di parlare.

«Sei soddisfatto?»

«Ovviamente no. Tuttavia ci sono dei progressi».

«In che senso?»

«Sei il ssesto che mi dice più o meno le stesse cose, avete qualcosa che non va come razza. Mi sono convinto che per capirvi devo prima capire cosa non vi fa funzionare. E la risposta potrebbe essere che cercate un ssenso in qualcosa che non ce l’ha e un posto in un’esperienza che non tiene conto di voi come individui».

Marco tira su col naso, si asciuga le lacrime per l’ennesima volta e guarda verso il suo interlocutore con gli occhi lucidi da cerbiatto.

«Posso… posso tornare a casa adesso?»

La lucertola inizia a cercare qualcosa tra le tasche del camice, poi guarda verso l’uomo.

«Certo, devo solamente portare a termine la procedura di abduzione prima. Sono ssolo formalità non crucciarti, c’è da somministrarti un ssiero amnesico e una sonda rettale. La procedura è quasi indolore, sei pronto?»

«Eh?»


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Alpraz autori Fernando Pennaforte Racconti racconti di fantascienza Vino


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