di Manuela Gessica Montanaro
Copertina di Veronica la Greca – Selfie’n quarantine
La lavatrice si era rotta l’inverno scorso quando Mitchell se n’era già andato da una settimana. Fosse stato un mese prima o un mese dopo, mi sarei pure messa a ripararla, perché tanto Mitchell, oh no, lui non l’avrebbe fatto in nessun caso, ma quella settimana lì la passai a farmi di qualunque cosa, a prosciugare le distillerie della contea, a scoparmi tutti quelli che potevo, da mezzogiorno alle tre del mattino. Se anche avessi voluto non ne avrei avuto il tempo. Per la lavatrice. Eppure Louella e Little Bird dovevano andare a scuola e quel fottuto sciroppo d’acero cola sempre dappertutto. Fu così che una mattina in cui mi accorsi che avrei dovuto mettere a Little Bird le mutande di Louella perché le sue erano tutte macchiate di residui di piscio e piccole strisce di cacca e vidi le sue manine tirarsi su le margherite troppo larghe per il suo culo di bambino, fu quella mattina che decisi di portare per la prima volta la roba al Jolli Wash. Era una lavanderia a gettoni gestita da Julia Fussemberg, figlia di immigrati tedeschi che aveva trascorso gli ultimi sessant’anni a cercare stivali e abiti a fiori e a collezionare rossetti e giovani donne da iniziare all’arte dei tarocchi.
Entrai con la mia roba e quella dei bambini in una busta, scelsi l’enorme lavatrice numero tre al centro dello stanzone col pavimento a rombi bianchi e neri. Aprii il portellone, ci infilai le mie gonne di jeans, le camicette che sapevano di dopobarba e di fumo, le divise di Loulla, i pigiami di Little Bird e le sue maglie di cotone impiastricciate per sempre di sugo di maiale, plastilina e latte. Di nascosto infilai le nostre mutande. Mi sembrò una violenza insopportabile.
Mentre stavo richiudendo il portellone lo vidi entrare. Era un tipo sulla trentina, carino, coi capelli lucidi di brillantina e gli occhi lucidi della luce di dicembre. Aveva una giacca di feltro marrone e dei pantaloni troppi larghi. Entrò sicuro come uno al primo giorno di campagna elettorale, con un quaderno sotto l’ascella e lo sguardo puntato a terra. E dissi e questo chi cazzo è?
Si fermò al centro della stanza con la faccia rivolta verso la vetrina che guardava all’esterno. Io ero accovacciata accanto alla lavatrice numero tre e non mi mossi. Lo vidi togliersi il quaderno dall’ascella con la mano destra, poi aprirlo con la sinistra e sfogliarlo fino a che non sorrise.
Patti, Patti di Summerset, ora puoi ascoltarmi? E io e Julia Fussemberg ci voltammo verso la strada a vedere se Patti di Summerset potesse averlo udito e magari potesse entrare e mettersi ad ascoltarlo visto che certamente non c’era nessuna Patti di Summerset al Jolli Wash.
Patti, Patti mia Patti come hai fatto a smettere di inginocchiarti? Quando hai lasciato i tacchi senza i tuoi piedi e le tue caviglie impietose? Patti non voglio venirti a cercare, non voglio venirti a prendere; Patti di Summerset lo sai anche tu che devi tornare. Stai raccogliendo le tue cose Patti? Hai sciolto quei nodi? Ora su, mettiti in macchina e torna a casa.
L’uomo chiuse il quaderno, se lo ficcò ancora sotto l’ascella e uscì con la stessa marcia con cui era entrato. Guardai Julia che aveva appena sospirato e tornai a fissare il numero tre.
Patti di Summerset si infilò nella mia giornata senza avere una faccia e senza che io capissi di cosa diavolo stesse parlando il pazzo che era entrato al Jolli Wash.
Aspettai la fine del risciacquo, accesi l’asciugatrice. Che fine aveva fatto Patti di Summerset? Nodi? Quali nodi avrebbe dovuto sciogliere e poi tornare a casa? Patti di Summerset che occhi hai? Che fai con quelle mani?
Tornai a casa e preparai la pasta al prosciutto: Little Bird amava la pasta al prosciutto ed era uscito di casa con le mutande della sorella, insomma si meritava i suoi maccheroni.
Magari era del Canada o della Pennsylvania. Patti dico. Ed era finita a Summerset per seguire suo marito e poi aveva conosciuto il pazzo. Oppure il marito la dava in pasto al pazzo.
La mattina dopo non avevo niente da lavare. La tovaglia ecco e le tovagliette e i grembiuli e i canovacci sempre luridi. In realtà c’era un sacco di roba da lavare.
Tornai al Jolli Wash.
Julia sorrise e si mise a sistemare le sue carte allungate di papi, papesse, imperatori e diavoli.
Subito dopo entrò Leonore Robbins con Chuck attaccato al suo culo e i capelli come piccoli crotali ubriachi, scelse la numero undici e ci infilò tanta di quella roba che dovette spingere il portellone con la schiena per richiuderlo.
Arrivarono poi Tessa e Miranda Jacobs con le loro borsette a rete di plastica rossa e tutti gli anni cascati sulla faccia. Entrarono pure la figlia di Lizzie Nelson e il suo fidanzato che si fecero leggere le carte da Julia per conoscere le sorti del loro matrimonio, come se queste non fossero una cosa scontata e banale quanto uno stupro sulle Black Hills.
Julia aveva messo su un vecchio disco di Charles Trenet, mi chiedevo dove la prendesse tutta quella roba quel diavolo di donna.
Que reste-t-il de nos amours
Que reste-t-il de ces beaux jours
Une photo, vieille photo.
Alla fine entrò con lo stesso passo, la stessa giacca e gli stessi insopportabili pantaloni del giorno prima.
La musica sfumò e Julia riassettò tutte le carte e tolse il disco.
Il chiacchiericcio si arrestò. Restò per un po’ almeno fino a quando l’uomo non si piazzò ancora una volta al centro della stanza con la faccia rivolta alla strada.
Patti, Patti di Summerset, ora puoi ascoltarmi? Ho visto che non sei tornata neanche ieri sera. Hai per caso problemi con l’auto? Ah l’auto. Le gambe che volevi aprire e ti tenevo chiuse, la bocca arrotolata intorno al ciondolo, il fischio del tuo respiro. Patti ce l’hai ancora quel ciondolo? Ce l’hai ancora lo smalto sbeccato sull’alluce destro, dentro la mia di bocca?
Patti di Summerset è ora di tornare. Le strisce verdi sono sparite, lo sai anche tu.
Chiuse il quaderno, lo raccolse sotto il braccio e uscì senza sbattere la porta.
Le signorine Jacobs si misero le mani alla bocca e le vidi muovere la testa.
Leonore Robbins si era seduta con le gambe incrociate imbambolata e triste.
Io aggiunsi la seconda dose di detersivo nel cassetto e mi misi a guardare la tovaglia che gemeva arancione nella schiuma.
Nessuno disse niente ma tutti ci guardammo e inspirammo a lungo. Poi Leonore dette un bacio all’orecchio di Chuck, la figlia di Lizzie e il futuro sposo ripresero a spiare il loro futuro fermo e noioso tra le carte e le mani di Julia, io mi misi ad aspettare la fine del ciclo e mi venne una gran voglia di chiamare Patti di Summerset al telefono perché mi raccontasse tutto, perché mi dicesse sì sono io e non ho nessuna intenzione di tornare.
Io invece tornai a casa con le tovaglie calde piegate storte, mi sedetti al tavolo e pensai a un uomo bambino che faceva dei segni come degli enormi geroglifici sulle gambe di Patti con un pennarello verde e vidi Patti che afferrava quel pennarello e glielo conficcava nella piega dell’inguine, mancando deliberatamente l’uccello. Ricordo ancora il pizzico in mezzo alle gambe che mi venne a quel pensiero. E ricordo che mi alzai e corsi a spuntare i fagiolini.
Però aveva detto le strisce verdi sono sparite. Le strisce. Che strisce Patti?
La mattina seguente accompagnai i bambini alla fermata dell’autobus e andai al Jolli Wash senza niente da lavare. Non avevo più bisogno di una scusa. Julia e Leonore e Ryan e Jimmy Lo e il nipote di Frankie e le signorine Lincoln e tutte le persone che avevano sentito raccontare quella storia, quel giorno entrarono nella lavanderia a gettoni di Cole Street senza aver bisogno di una scusa. Non fecero neanche finta di fare qualcosa né Julia si preoccupò di intrattenerle. Stavano lì per Patti di Summerset.
L’uomo entrò con la giacca aggrinzita e un lembo della camicia fuori dai pantaloni. Dette una rapida occhiata a tutte le persone in piedi in cerchio ai margini della stanza senza mai alzare la testa.
Ancora una volta guardò oltre il vetro nel punto in cui Cole Street si apre su Madill Street e porta via la gente da Keystone e, se Dio onnipotente vuole, dall’intero South Dakota.
Patti, Patti di Summerset, ora puoi ascoltarmi? Sono tornato in cantina a cercare i tuoi ferri. Tu invece ancora non sei tornata. Erano sparpagliati sotto il tavolo e avevano ancora l’odore del tuo desiderio. Ho legato il collo, il mio collo, Patti, alla gamba del tavolo, come se quella gamba potesse diventare la tua. Ma non è successo. Non è successo proprio niente senza di te, Patti di Summerset. La prossima volta ingoierò le chiavi della cantina, dimenticherò la nostra parola, non la finiremo mai. E tu non avrai più la preoccupazione di dover tornare.
A quel punto chiuse il quaderno e questa volta cercò di ficcarselo nella tasca della giacca che era chiusa, chiusa come le gambe di Patti, pensai. Ci provò tre quattro volte, poi il quaderno gli cadde e il piccolo Chuck Robbins corse a prenderglielo e glielo restituì. L’uomo ci soffiò sopra, lo spolverò con la mano sinistra come se fosse appena caduto nella cava di Rockerville e se lo mise come al solito sotto l’ascella. Guardò ancora una volta verso la strada, poi si girò e uscì.
La gente che stava al Jolli Wash solo allora prese a chiacchierare, si addensò in piccoli gruppi, si diresse verso l’uscita. La lavanderia a gettoni di Julia Fussemberg si era fatta foyer di un teatro senza biglietti, senza attori, senza palco.
Noi tutti credevamo nell’incontrovertibile esistenza di Patti di Summerset, nella sua vita legata, nel suo danzare nuda sulle assi di un appartamento sbilenco alla periferia di Denver o di una qualunque altra putrida città chiusa in mezzo all’America da cui non vedi il mare.
Ehi, mettiamo delle sedie? Julia me lo disse prendendomi un braccio prima che uscissi.
Raccattammo sedie apri e chiudi dalle case dei vicini, dall’emporio di Caleb Cain, dalle verande abbandonate delle case appena fuori Keystone. Le mettemmo di fronte alla vetrina.
Non credemmo neanche per un attimo che l’uomo avrebbe potuto ritrarsi e non tornare o non parlare o rompere l’incantesimo e mettersi a fare una lavatrice. Quello che stava succedendo sarebbe successo ancora e ancora e ancora.
Noi tutti avevamo bisogno di Patti di Summerset.
Il giorno dopo era sabato e i bambini non avevano la scuola. Li svegliai presto, dissi loro che dovevamo uscire, che non avevamo più vestiti puliti, mangiate i vostri pancake, questa volta mi sono impegnata sul serio, su mangiate, sono buoni.
Mamma l’albero di Natale, avevi detto che lo avremmo fatto oggi.
Little Bird lo faremo quando torniamo.
Ma avevi detto oggi.
Oggi, oggi, lo faremo oggi.
Mamma…
Little Bird finisci il tuo latte e vai a lavarti i denti.
Entrammo al Jolli Walsh in ritardo. Le sedie in prima e seconda fila erano già state tutte occupate. Tolsi i cappotti ai bambini, slacciai le sciarpe, sfilai i cappelli di lana che gli pizzicavano la fronte. Louella aveva le guance rosse e ruvide per il freddo e Little Bird mi disse che gli scappava la pipì. Lo accompagnai in bagno, lo feci sedere sul gabinetto.
Sbrigati Little Bird, tua sorella è da sola.
Louella non era da sola naturalmente. La lavanderia era già piena di gente seduta e in piedi. Volevo che facesse presto per non perdermi lo spettacolo.
Feci sedere i bambini e guardai tutte quelle persone erano venute lì per Patti e mi sembrò una cosa meravigliosa.
L’uomo arrivò. Come sempre non disse buongiorno e non guardò nessuno. Percorse il corridoio centrale che avevamo lasciato libero dalle sedie. Si mise con le spalle al pubblico.
Patti, Patti di Summerset, ora puoi ascoltarmi? Sono sicuro che stai arrivando. Cos’altro hai da fare, ancora? Ho sistemato tutto Patti, ho sistemato tutto per te. Ho comprato un nuovo martello, Dio quanto ti amo Patti. E ho trovato un uncinetto che ti attraverserà tutta. Farò di te un ricamo, una trina. Lasciami sentire ancora quanto profuma il tuo dolore Patti, lascia che io possa berlo. Copriti Patti, vieni qui, fatti abbracciare. Hai freddo, Patti di Summerset? Fa così freddo laggiù?
Julia questa volta aveva dimenticato di togliere il vecchio disco e mentre l’uomo parlava, Charles Trenet con le braccia aperte cantava La mer/Qu’on voit danser/Le long des golfes clairs/A des reflets d’argent/La mer.
Patti di Summerset si può sapere dove diavolo ti sei cacciata? disse alla fine.
Poi senza che nessuno avesse mai potuto crederci, eppure a pensarci ora era sempre stata lì nella sua tasca, l’uomo sfilò una pistola calibro quaranta dalla giacca e non lasciò a nessuno il tempo di capire né di chiede perdono per i propri peccati. Puntò l’arma e gli occhi ai piedi e sparò. Fece partire tre colpi di seguito. Loulla, Little Bird e Chuck Robins videro gli schizzi di sangue che battezzavano il pavimento. L’uomo non si mosse più come se i proiettili lo avessero inchiodato al pavimento del Jolli Wash, come moderne stigmate.
Le persone che stavano sedute non dissero nulla pietrificate, alcune scivolarono fuori e appena superata la porta d’ingresso si misero a urlare e a piangere.
Il disco di Charles Trenet sembrava non finire mai e io pensavo che se fosse finita la musica se ne sarebbe andato.
Ma l’uomo sparò ancora e ancora. Si sparò in mezzo alla tibia e poi anche nella coscia, mentre il sangue gli colava sui pantaloni e li appiccicava e li rigava di nero e di presagi.
Patti, Patti di Summerset dove sei? Guardami Patti, guardarmi ora e godi.
Patti! Patti dove sei?
E sparò ancora una volta sul suo corpo inutile, con le mani sudate e la testa che cominciava a tremargli.
La mer
Les a bercés (les a bercés)
Le long des golfes clairs
Et d’une chanson d’amour
La mer
Patti di Summerset torna a casa.
E puntò ancora la calibro quaranta verso di sé.
Patti, Patti di Summerset, ora puoi ascoltarmi?
Ehi, sono qui.
Mi alzai dalla sedia lo guardai in faccia e lo dissi ancora una volta.
Sono qui!
E sparò l’ultimo colpo.
Autrici Jolly Wash letteratura Little bird Manuela Gessica Montanaro Patti Racconti Summerset Veronica la Greca