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Rossa
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 05/12/2023 One Comment 12 min read
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di Piera Biffardi
Copertina di Mario Bianco

Alle 7:00 in punto entro nel Bosco. Arrivata a metà strada, dove la vegetazione è così fitta da coprire il cielo, una voce gutturale e ruvida mi chiama. «Ehi, Rossa».
Mi chiamo Concetta, ma mi chiamano Rossa. Non perché abbia i capelli rossi, visto che sono castana, ma perché le donne della famiglia hanno un feticismo per i cappotti rossi. Anche ora, che di anni ne ho quattordici, ne uso uno, che indosso sopra la maglietta dei Pink Floyd.
Sciantàl, la mia compagna di banco, mi invita spesso a uscire. Lei e le sue amiche la sera vanno a ballare, mettono gonne strette e salgono sui motorini dei ragazzi, che portano pantaloni attillati e capelli imbalsamati dal gel. Non mi ispirano. Preferisco fare altre cose, soprattutto stare a casa a leggere. E poi a me piace il rock.
Non ho mai conosciuto mio padre. Pare che fosse un falegname con la fissa dei burattini e della musica. Di ritorno dai suoi viaggi, portava a Mamma dei dischi. A un certo punto non è più tornato. Qualche anno fa ho sentito dire che, a furia di occuparsi dei suoi burattini e parlare con loro, uno di questi ha iniziato a rispondergli. Così l’hanno rinchiuso in un istituto, all’interno del quale ha continuato a delirare di fate e balene, ma questa è un’altra storia. Di lui mi restano solo gli occhi verdi e una collezione di vinili niente male.
Mamma ha insistito perché imparassi fin da piccola a difendermi, ed è da allora che pratico kung fu con il sensei Gennaro. Si è raccomandata di non dirlo a Nonna, che è una donna di altri tempi e non vogliamo provocarle un dispiacere.
Io e Mamma conduciamo un’esistenza modesta. Mamma dice che dobbiamo molto a Nonna, anzi le dobbiamo tutto, ma che lei preferisce una vita così, semplice.
È da quando avevo sette anni che, ogni mattina, mi infilo il cappotto rosso,  imbraccio il paniere e porto le medicine a Nonna. Sono io a farlo perché nessuno sospetterebbe di una bambina ed è fondamentale che la missione resti segreta. Nonna è impegnata a fare opere di bene e curare tanti bambini che non possono permetterselo. Per questo, sono in molti a invidiarla.
Il giorno del mio settimo compleanno, Nonna era venuta a trovarci, un evento speciale. Cacciatore, il suo assistente tuttofare con una cicatrice sull’occhio destro, l’aveva aspettata fuori, in piedi a braccia incrociate davanti alla porta. Nonna era entrata con il suo incedere nobile, la schiena dritta, lo scialle di cachemire nero e i capelli raccolti in un ordinato tuppo argenteo. Ogni dettaglio, in lei, ispirava rispetto. Mi aveva regalato Barbie Va al Supermercato e il primo cappottino rosso. Mi aveva osservato mentre lo provavo, aveva assaggiato appena la fetta di torta che Mamma le aveva messo davanti e, dopo un cenno di approvazione, mi aveva fatto un discorso: «Ti sta benissimo… Russule’, non dimenticarti mai l’importanza della famiglia. La famiglia è tutto. La famiglia ha mani grandi per accoglierti sempre. La famiglia ha occhi grandi con cui vigila. La famiglia ha orecchie grandi con cui sente tutto. Nessuno scherza con la famiglia. E con il tuo bel cappotto, nessuno avrà il coraggio di infastidirti. Hai un compito molto importante, che affido a te perché sei la mia nipote preferita. Quindi impegnati e nonna ti amerà per tutta la vita. Hai capito?»
Mamma mi era sembra pensierosa, ma non aveva commentato.
Nonna vive in una casetta semplice al limitare del Bosco. All’interno ci sono uno scalone di marmo, poltrone rivestite di raso, tende di velluto per tenere lontani gli occhi indiscreti, una cucina dotata di isola centrale, e un cortiletto interno che ospita Gaspare, la tigre del Bengala. Tutto questo, mi ha spiegato, serve per accogliere i facoltosi uomini di affari che sovvenzionano le opere di bene.
Consuelo, la domestica, prepara delle ottime torte di mele con cui faccio colazione. Poi vado a scuola.
Questa è stata la mia quotidianità, giorno dopo giorno, fino a oggi.
«Ehi, Rossa». Mi giro di scatto, mettendomi in guardia. Vedo un’ombra scura tra gli alberi. «Tranquilla, non ti faccio niente. Non avvicinarti per favore. Non voglio spaventarti». Le mie narici vengono inondate da un odore selvatico che si sovrappone all’umido del sottobosco, mi stordisce. «Chi sei?»
«Non abbiamo molto tempo. Gli uomini che ti controllano sono vicini.»
«Di che parli? Sono sola.»
«Nonna non ti lascia mai senza sorveglianza, c’è sempre qualcuno che ti segue.»
«Ma che dici, chi sei, guarda che mi metto a strillare e ti stendo a calci.»
«No, no, ti prego, ascoltami. Arrivata alla fine del Bosco, inginocchiati fingendo di allacciarti una scarpa e guarda il riflesso nella portafinestra del patio, vedrai un uomo con gli occhiali da sole sbucare dai cespugli. Ora devo andare. Riprendi a camminare come se niente fosse. Ti aspetto qui domani. Prova a partire prima, così avremo un po’ più di tempo.»
E l’ombra si ritira. Mi tremano le gambe. Una cosa è praticare arti marziali in classe, un’altra è una circostanza reale in cui doverle usare. Stringo il mio paniere e mi affretto verso casa di Nonna. Che stupidaggine, non può essere vero. Deve trattarsi di un invidioso malintenzionato. All’ultimo momento, però, non resisto alla curiosità. A pochi metri dalla portafinestra, mi inginocchio e, con le dita impacciate, mi slaccio e riallaccio le scarpe. Ed eccolo lì, l’uomo con gli occhiali da sole. Certo, questo non prova niente.
Ed è questo che dico il giorno dopo all’ombra, quando arrivo con dieci minuti di anticipo sulla tabella di marcia.
«Questo non prova niente, quell’uomo è stato inviato da te, o forse eri proprio tu!»
«Avvicinati, non ti mangio, so che fai arti marziali.»
«Come lo sai? Che ne sai di me?»
Non resisto, non riesco ad andarmene e basta, mi avvicino, l’effluvio si fa più intenso. Lo guardo. È alto e robusto. I suoi occhi sono grandi e scuri. Non mi spaventa.
«Mi chiamo Lupo. Il mio branco un tempo era libero, viveva in pace nel Bosco, ma da decenni è al servizio di Nonna e della sua famiglia.»
«Dovresti solo ringraziare, Nonna crea posti di lavoro.»
«Non è proprio così. Non veniamo pagati, lavoriamo senza sosta nelle miniere di cobalto.»
«Beh, perché non ve ne andate?»
Sento che le mie argomentazioni si fanno deboli, di fronte alla composta malinconia di Lupo. Vorrei dargli un bacio sulla guancia, consolarlo.
«Siamo suoi schiavi, non abbiamo scelta. Di notte veniamo incatenati. Ma non è tutto. Quella delle miniere è un’attività di copertura. Quando diventiamo troppo stanchi per lavorare, Nonna ci fa uccidere per estrarre una speciale sostanza prodotta dal nostro fegato, che poi viene usata per sintetizzare lo Sbrbmnsbr, la droga del momento. Si tratta di un potente allucinogeno che ha l’effetto di far apparire tutto più bello, anche ciò che è brutto ma davvero brutto. Al posto delle cartacce gettate per terra, per esempio, vedi foglie dorate cadute dagli alberi, al posto delle sirene delle ambulanze senti il canto degli uccellini, al posto delle persone arrabbiate o tristi né incontri di gioviali e sorridenti. Una settimana fa un uomo è stato ucciso a colpi di cric da uno strozzino con il quale si era indebitato fino al collo. Il povero disgraziato avrà pensato che gli stesse porgendo un mazzo di fiori, ha provato ad abbracciarlo, è morto sorridendo. Ma sto divagando… Alcuni di noi sono riusciti a scappare e a fare rete. Siamo la Resistenza. Il motivo per cui sono qui è che vorremmo che ti unissi a noi.»
«Che mucchio di assurdità.»
«Pensaci, quante case ci sono al confine del Bosco? Solo una, quella di tua nonna! Apri gli occhi, c’è scritto sopra ABUSO EDILIZIO praticamente a caratteri cubitali. Alcuni dei miei compagni volevano rapirti per negoziare con Nonna, ma io ti osservo da un po’ e credo che tu abbia le qualità per entrare a far parte del nostro branco.»
«Non potrei mai, non tradisco la mia famiglia, Nonna mi vuole bene.»
«E invece sta già cercando una tua sostituta. Anche se non te ne rendi conto, ormai sei cresciuta, sei una donna, non vai più bene per i suoi scopi, si disferà di te come di una giacca usata. So che è tanto da digerire, prendi questo.» Mi porge un plico. «Nascondilo nello zaino e guardalo quando torni a casa. C’è tutto, anche le foto delle potenziali candidate e dei prigionieri. Pensaci. Se mi credi, stanotte alle tre scappa di casa e torna qui. Indossa questa benda sugli occhi, ti porterò al sicuro. Completa la consegna e comportati normalmente con Nonna.»
Mi gira la testa. Nonna mi chiede come mai sono già lì. Farfuglio qualcosa sulla necessità di correre presto a scuola per ripassare con un’amica. Lei fa qualche commento sull’inaffidabilità degli adolescenti. A lezione sono distratta, non posso fare a meno di chiedermi se la mia intera esistenza non sia stata altro che una menzogna.

Sono nel quartier generale del branco e non riesco a dormire per l’eccitazione. Mi hanno condotta nelle Catacombe, che sono insonorizzate, e infatti ci organizzano un sacco di concerti. Sono quasi svenuta quando ho visto salire sul palco Kurt Cobain! Pare che non sia mai morto, ma che abbia inscenato la propria morte per poter vivere in maniera più sobria e ritirata. Suona solo in rare occasioni, per esempio per gli amici che organizzano rivolte, e ha abbracciato lo stile più acustico dell’Unplugged in New York. Lupo mi ha avvolta tra le braccia e sorretta, con la scusa di proteggermi dal pogo degli altri, che scuotevano le teste, scatenati. Il momento più bello che abbia mai vissuto.
Ho scoperto che Lupo e compagni sono tutti praticanti esperti di kung fu, perché allenati in segreto dal sensei Gennaro. La fase uno del piano prevede che io distragga gli uomini a guardia delle grotte, fingendo di essere stata mandata da Nonna e offrendo loro dei casatielli narcotizzati, per rubare le chiavi e far evadere i membri del branco ancora prigionieri. La fase due prevede che indossiamo tutti dei cappotti rossi col cappuccio per confondere il nemico e attirare gli scagnozzi di Nonna nel Bosco. Saranno svantaggiati, rumorosi e impacciati e avranno difficoltà a prendere la mira e sparare. Il branco non possiede armi, se non la nobile arte del kung fu, l’olfatto fine e la purezza del cuore.
Se funziona, Nonna resterà in casa da sola e sarà facile farla prigioniera.

È trascorso un anno della rivolta di Lupo e del suo branco. Il piano ha funzionato e la mia presenza è stata decisiva.
Nonna è stata condannata dal Tribunale a sfornare pastiere per tutto l’anno. Nei momenti di pausa può andare a guardare i cantieri e commentare il tempo con gli altri anziani. L’ultima volta che l’ho vista aveva perso la sua compostezza regale ed era incazzata nera. Mi ha sibilato di non aver capito niente, che lei voleva rendere il mondo un posto più gradevole grazie al traffico di stupefacenti. Io le ho risposto che preferisco un mondo imperfetto ma vero. I documenti segreti con la formula dello Sbrbmnsbr sono stati distrutti. Cacciatore è stato rinchiuso in una gabbia e i bambini gli tirano le noccioline. Tutti gli altri scagnozzi sono stati mandati a scuola a studiare la Storia in loop all’infinito. Gaspare la tigre è stato accolto in un rifugio per gattini abbandonati, in cui può finalmente dedicarsi alle sue attività preferite: giocare con i gomitoli di lana e fare le fusa. Consuelo ha sposato Gennaro il sensei. Insieme hanno rilevato la casa di Nonna e l’hanno divisa in due: una pasticceria tipica da una parte e un dojo dall’altra, in modo da poter coltivare al contempo il piacere dei sensi e la disciplina.
Sciantàl ha lasciato perdere i motorini e ha aperto uno sportello di ascolto per la cura delle dipendenze. A Mamma ho lasciato una busta con un abbonamento a Trenitalia, perché si goda finalmente la vita, vissuta all’ombra di Nonna.
Quanto a me, non porto più il cappotto rosso, che ho donato a un senzatetto. Terminata la rivolta, sono riuscita a vivere la mia relazione con Lupo, che è stata travolgente e appassionante ed è durata molto a lungo, tre settimane. Dopodiché, stufa del fascino da misterioso conturbante e dell’odore muschiato, gli ho spiegato che lo apprezzo ma che nel Bosco c’è troppa umidità per me, e sono andata per la mia strada. Sto girando il mondo e penso a cosa voglio fare da grande. Non sono ancora sicura, ma credo che abbia a che fare con la tutela delle specie protette.


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